Andrea Ortolani

Tag: Tsuyoshi Kikukawa

La sentenza Olympus

Il Tribunale di Tokyo, Pres. Hiroaki Saito ( 齊藤 啓昭 ), ha pronunciato sentenza per il caso Olympus.
I tre ex amministratori della società sono stati dichiarati colpevoli, e condannati a 3 anni (Kikukawa e Yamada) e 2 anni e mezzo (Mori) di reclusione. Olympus è stata inoltre condannata a pagare ¥700M come sanzione. Essa, in base ad altri procedimenti, deve anche ¥192M all’Ufficio delle finanze e ¥5 miliardi in imposte arretrate.
I tre ex amministratori sconteranno la pena in prigione?
Per ora no, perché la pena è sospesa per 5 anni per i primi due, per 4 anni per il terzo.

Così si conclude (non mi pare ci sarà appello) uno dei più grandi scandali finanziari della storia recente del Giappone: Olympus aveva falsificato i bilanci per 20 anni, per coprire un totale di 117 miliardi di yen di perdite (900 milioni di euro).

L’immagine della corporate governance giapponese non ne esce granché bene. Eccetto per chi fa di mestiere l’amministratore.

Mi piacerebbe leggere cosa ne pensa Takafumi Horie, uno tra i pochi o pochissimi, tra i recenti soggetti dichiarati colpevoli in scandali finanziari, che è stato mandato a scontare la pena in prigione.

Il caso Olympus: riepilogo dei mesi non collegati

Il caso Olympus ha avuto i suoi 15 giorni di celebrità ed è uscito da tempo dal radar dei giornali.
Anche qui, per vari motivi, abbiamo seguito di meno l’evoluzione delle vicende, ma rimediamo ora con un breve riepilogo delle due o tre notizie più importanti degli ultimi mesi.

Il 17 febbraio 2012, appena 4 mesi dopo l’inizio dello scandalo, alcuni manager di Olympus sono stati arrestati: l’AD precedente Kikukawa, gli ex manager Hisashi Mori e Hideo Yamada, oltre a quattro persone esterne alla società.

L’altra notizia è che Michael Woodford, l’amministratore che ha dato il via allo scandalo, ha trovato un accordo preliminare con Olympus per ritirare la causa di risarcimento danni per licenziamento illegittimo. La somma oggetto dell’accordo è segreta, ma si vocifera che sia pari alla retribuzione per l’intero periodo previsto originariamente per l’incarico: circa 12 milioni di euro.
La causa era stata presentata in un tribunale inglese (ehi: anche fuori dal Giappone si concilia!) e l’accordo deve essere approvato dal Consiglio di amministrazione di Olympus l’8 giugno. In caso di mancata approvazione, si tornerà in aula.

Lo scandalo ha dato una scossa agli ambienti finanziari e governativi, e si pensa a come migliorare la corporate governance giapponese in modo che questi scandali non avvengano più.
Ci sono almeno due commissioni al lavoro per presentare proposte di modifica alla legge sulle società del 2005.

Il caso Olympus prosegue (II)

Come si poteva facilmente immaginare, il caso Olympus finisce in tribunale.
Le cause saranno due.

La prima è la causa di Olympus, cioè dei suoi azionisti, contro 19 ex-amministratori. Una commissione di tre avvocati indipendenti ha analizzato la situazione, condotto indagini e ha presentato un rapporto in cui consiglia di avviare questa azione civile.
La somma richiesta come risarcimento del danno è di 16,5 miliardi di yen.
Al solo Tsuyoshi Kikukawa, che pare aver giocato un ruolo di primo piano nello sviamento dei fondi, saranno chiesti 3,6 G jpy.
Michael Woodford, l’amministratore che ha svelato le acquisizioni farlocche e portato la vicenda alla ribalta internazionale, non è tra i soggetti citati in giudizio.

La seconda è la causa di Woodford contro Olympus per licenziamento illegittimo. Woodford era stato allontanato dall’azienda in un rapidissimo consiglio di amministrazione, in seguito al quale era scappato da Tokyo con il primo aereo, e una volta a Londra aveva deciso di parlare con la stampa internazionale portando così all’attenzione mondiale la truffa.
In seguito il manager inglese era tornato a Tokyo e fino alla fine di dicembre esprimeva ancora la propria disponibilità a riprendere in mano le redini dell’azienda. Tuttavia, nei primi giorni di gennaio Woodford ha rinunciato a ri-candidarsi come amministratore citando scarso sostegno da parte dei principali azionisti. Ha aggiunto inoltre che farà causa a Olympus, probabilmente in Inghilterra.

Nonostante tutto, attualmente Olympus è ancora quotata al Nikkei. Dopo aver subito pesanti perdite, le notizie riguardanti le azioni legali hanno oggi fatto risalire il titolo, ma il rischio di delisting è ancora presente.

Il caso Olympus prosegue

È da dieci giorni che mi dico, appena si calmano un po’ le acque sul caso Olympus, scrivo un post di aggiornamenti e faccio un po’ il punto della situazione.
Il problema è che ogni giorno ne esce una nuova e si riesce a malapena a starci dietro.

Allora, andando con ordine.
In un primo tempo avevano negato tutto. Come da manuale. Molto bella questa presentazione datata 27 ottobre in cui ancora si sosteneva la legittimità delle operazioni condotte.

Pian piano stanno venendo fuori un po’ di cose. L’8 novembre Olympus ha ammesso che le acquisizioni sono servite a coprire perdite avvenute a partire dagli anni 1990, e ha nominato una commissione indipendente con il compito di capire che cosa sia successo e dove siano finiti i soldi. In pratica, Olympus falsificava i bilanci dal 1990, ma nessuno se ne era accorto fino al mese scorso.
Il buco potrebbe essere enorme, il più grande scandalo finanziario del Giappone moderno, e condurre la società al fallimento. Ai primi di novembre Olympus aveva perso alla borsa di Tokyo più dell’80% del valore che aveva prima dello scoppio dello scandalo, ed è stata -e in effetti continua ad essere- ad un passo dal delisting.

Sul ruolo delle società di revisione contabile: il ramo giapponese di KPMG nel 2009 aveva sollevato alcuni dubbi sulle acquisizioni, ma aveva comunque approvato i bilanci. Dall’esercizio successivo Olympus si è servita del ramo locale di Ernst & Young. Quando un revisore inizia a lavorare per una società, le norme giapponesi sulla revisione dei bilancio prevedono che esso sia tenuto a chiedere al suo predecessore 13 domande ben definite, tra le quali se vi siano stati disaccordi con l’azienda sulla gestione dei conti.
Per ora tuttavia non è trapelato nulla su questo punto.

Alla fine la polizia giapponese si è vista costretta a fare qualcosa. In questo weekend gli amministratori di Olympus del periodo in questione hanno avuto colloqui “volontari” con la polizia. Naturalmente si inizia a vociferare che parte del denaro sia stata pagata ai gruppi violenti alla yakuza, affinché non rivelasse precedenti falsi in bilancio, ma per ora la società smentisce.
Woodford sta collaborando con l’F.B.I. e la Securities Exchange Commission statunitense, oltre al Serious Fraud Office in Inghilterra. Questa settimana tornerà nell’Arcipelago per parlare con gli investigatori giapponesi. L’ex-presidente di Olympus Medical Systems, Koji Miyata, ha lanciato una homepage, “Olympus Grassroots”, attraverso la quale auspica il ritorno di Woodford ai vertici di Olympus.

Ci si chiede quali potranno essere le conseguenze per gli amministratori della società.
In teoria, per i reati prospettati vi sono pene fino a 10 anni di reclusione, ma il sistema giapponese non brilla per severità nei confronti dei crimini del colletti bianchi. A meno di avere addosso l’immagine del giovane ribelle anti-establishment, di quello che ha lasciato a metà il corso di laurea a Todai perché “non si imparava niente”, di quello che non metteva mai la cravatta e che ha deciso di non ammettere il suo reato -e avere con tutta probabilità la pena sospesa- ma di dare battaglia in tribunale. Insomma, avete capito di chi sto parlando: Takafumi Horie a.k.a. Horiemon.

Ho letto da qualche parte che si sta già pensando a una riforma della corporate governance. Io ho qualche dubbio sul fatto che basti cambiare una legge.

Il caso Olympus

Il 14 ottobre il Consiglio di amministrazione di Olympus ha licenziato in tronco, in una riunione durata una decina di minuti, l’amministratore delegato Michael Woodford, britannico, in azienda dal 1980.

La motivazione addotta: Woodford non era riuscito a capire lo stile di gestione di Olympus, e più in generale non era riuscito a capire la cultura giapponese.

Al termine del CdA, Woodford ha preso il primo aereo, è andato a Londra e ha iniziato a vuotare il sacco con i giornali e con le autorità.
Ne sono uscite, ne stanno uscendo, delle belle.
Questo articolo del Post riassume bene e in maniera chiara la vicenda; anche altre testate italiane si sono occupate della vicenda. Non c’è bisogno quindi di ripetere le stesse cose, mi limito dunque ad aggiungere un paio di dati.

Per chi fosse interessato, ecco la dura lettera che Woodford aveva fatto circolare prima del CdA chiedendo le dimissioni dei colleghi.

Piccoli dispetti: il mensile finanziario di nicchia FACTA, che aveva iniziato a indagare sulla vicenda, nell’indifferenza totale dei principali media giapponesi, non è stato ammesso alla conferenza stampa in cui Tsuyoshi Kikukawa ha rassegnato le dimissioni da AD. Hiroko Tabuchi, corrispondente del NY Times da Tokyo la mette così: “Economist wasn’t allowed in, either. I think they banned all magazines just to keep out Facta.

Ad ogni modo, la vicenda è in continua e rapida evoluzione.
Woodford ha parlato con il Serious Fraud Office britannico e con l’FBI, ci saranno probabilmente sviluppi degni di nota.
Al momento le ultime notizie importanti arrivano da Reuters, che allude a vicende di conflitti di interessi, e che cita il nuovo AD accusare Woodford per aver rivelato informazioni riservate, e dal Financial Times, che descrive come il nuovo AD si sia arroccato a difendere quello che al momento appare piuttosto indifendibile.
Qui l’ultimo pezzo del NYT.