“Japanese Law Compared: Past, Present and Future”: Nuove prospettive per i Japanese Law Studies – Guest Post

Nel mondo dell’accademia, ci sono campi di studio nei quali ci si può sentire particolarmente soli. Il campo dei Japanese Law Studies è uno di questi: nei dipartimenti di giurisprudenza, sono pochi gli esperti che si dedicano al Giappone. Allo stesso modo, nei dipartimenti di giapponese, c’è un solitario ricercatore che si occupa di diritto. Le iniziative di collaborazione in questo campo si basano su relazioni bilaterali tra due studiosi o tra due università, piuttosto che su una rete internazionale di contatti. I Japanese Law Studies certamente risentono di questa mancanza di connessioni. In fondo, che idee possono nascere quando si è soli davanti al computer? Stentate, svogliate, con il fiato corto. Per avere buone idee ci si deve incontrare, confrontare, discutere. Con questo in mente è nato il convegno “Japanese Law Compared: Past, Present and Future”, organizzato dal Prof. Giorgio Colombo e ANJeL (The Australian Network for Japanese Law), che ha riunito nella elegante cornice dello storico collegio Ghislieri a Pavia ricercatori provenienti dall’Australia all’America, passando per il Giappone e l’Europa.

La giornata è iniziata con brevi report sulla situazione degli studi di diritto giapponese in Europa, che hanno confermato il bisogno di una rete più estesa di contatti e collaborazioni. Dopo una pausa durante la quale i partecipanti hanno potuto salutare vecchi amici ed incontrare nuovi colleghi, si è iniziato con la prima sessione della giornata.

Il programma è stato il seguente:

9:40-10:30 1st Roundtable Discussion – The State of Japanese Law Studies in Europe
Moderator: Marco Giorgi
Short reports by:
Dimitri Vanoverbeke – Benelux
Béatrice Jaluzot – France
Moritz Baelz / Harald Baum – Germany
Wered Ben-Sade – Israel
Giorgio F. Colombo – Italy
Roger Greatrex – Scandinavia
Francisco Barberan – Spain
Luca Siliquini-Cinelli – UK

10:30 – 11:00 Coffee Break and Networking

11.00 – 13:00 First session: Japanese law, Comparative law, Historical Perspectives
Moderator: Elisa Bertolini
Legal Orientalism – A Concept and its Implications for the Understanding of East Asian Law – Moritz Baelz
Comparison of Law, Legal Transplants and International Legal Fashion: Experiences from Japan and Germany – Harald Baum
Unequal Treaties and Japanese Law in the XIX Century – Béatrice Jaluzot
The (not so much) changing role of law in Japan? A decade of participation of civilians in the criminal procedure in a historical perspective (1938 & 2019) – Dimitri Vanoverbeke
Judicial Identity and the Supreme Court – Heather Roberts

13:00 – 14:00 Lunch Break

14:00-15:40 Second session: Current Issues and Criticalities of Japanese Law: Ethics, Gender
Moderator: Michela Riminucci
Current Issues in the Legal Ethics Regulatory System in Japan – Kay-Wah Chan
Legal Ethics: a Disciplinary Actions in Practice – Masako Kamiya
Gender and Legal Education in Japan – Mark Levin
How Japanese Women Experience the Legal System: A Multi-Faceted, Mixed-Methods Study – Leon Wolff

15:40-16:00 Coffee Break

16:00-17:40 Third session: Dispute Resolution, Adjudication, Private Law
Moderator: Matteo Dragoni
Developing Japan as a Regional Hub for International Dispute Resolution: Dream Come True or Daydream? – Luke Nottage
The Style of Judgments by Japanese Courts: How They (Judges) Write Them, and How We (Academics) Read Them – Soichiro Kozuka
Japanese Contract Law Reform: Reflections on the Theory and Practice of Comparative Law – Luca Siliquini-Cinelli
Receptions and Rejections in the Reform of the Law of Obligations – Andrea Ortolani

17:40-17:50 Short Break

17:50–18:20 2nd Roundtable: intra- and extra-EU collaboration on (a) research, (b) teaching, (c) outreach
Facilitators: Heather Roberts and Leon Wolff

18:20-18:30 Closing Remarks: Giorgio F. Colombo

Come si vede dal programma, “Japanese Law Compared: Past, Present and Future” è iniziato con uno sguardo al passato (Japanese law, Comparative law, Historical Perspectives), una valutazione della situazione presente (Current Issues and Criticalities of Japanese Law: Ethics, Gender; Dispute Resolution, Adjudication, Private Law), e piani per il futuro (2nd Roundtable: intra- and extra-EU collaboration on (a) research, (b) teaching, (c) outreach). Ed è proprio con la voglia di guardare al futuro che si è chiusa questa giornata. Sono nati dei piani concreti per la realizzazione di nuovi convegni e di nuove iniziative per allargare la rete dei Japanese Law Studies. Come ha esaustivamente detto Giorgio Colombo, la sensazione generale era di sentirsi “on a sugar hype”, cioè euforici, in vista delle future collaborazioni.

Il meteo ha rispecchiato l’andamento del convegno: partendo da una mattinata uggiosa, nella quale si è fatto il punto della situazione e delle criticità dei Japanese Law Studies, si è giunti a discutere dello splendente futuro del nostro campo accompagnati da un cielo sereno e un sole brillante. Approfittando della svolta meteorologica e con volti ormai distesi e sorridenti, abbiamo fatto una foto nella splendida cornice del giardino del collegio Ghislieri.

PaviaGhislieri

A quanto pare le idee più prolifiche ed entusiaste arrivano dalla pienezza delle relazioni e del confronto, più che da sterili sessioni di brainstorming.

120 anni di codice civile giapponese

Il titolare parlerà all’Università di Torino, Dipartimento di Giurisprudenza, di codice civile giapponese. Lunedì 5 marzo 2018, alle 13, presso il Campus Luigi Einaudi, Aula H8.

Qui la locandina dell’evento:Copia di 0503

Avviso: Conferenza annuale della British Association for Japanese Studies (BAJS)

Il 10 e l’11 settembre 2015 si terrà a Londra, presso prestigiosa Scuola di Studi Orientali e Africani, ai più nota come SOAS, la Conferenza annuale dell’Associazione britannica per gli studi giapponesi.
Qui la pagina di presentazione, e qui il ricco programma.

Tra i relatori, nella sessione 4 di venerdì dal titolo “Japanese Law and the Rhetoric of Legal Orientalism: Contesting the Terrain“, figurano due studiosi italiani: Giorgio F. Colombo e Fabiana Marinaro, già noti ai lettori di questo blog. Accanto a loro Lawrence Repeta e Dimitri Vanoverbeke.
Il programma contiene i riassunti degli interventi dei quattro relatori. Riporto la presentazione della sessione:

This panel aims to offer a critical analysis of the functioning of the Japanese legal system and of the role law plays in Japan, thereby challenging the still widespread stereotypical views about the irrelevance of law in Japanese society.
Despite the work produced by a number of (often) American scholars, in Europe the subject of law in Japan remains confined to a niche; and narratives about the Japanese legal system appear – still – to be locked into an orientalist perspective which dismisses its importance in Japanese society. What is more, there exists usually a great divide, and poor communication, between the few experts on the subject and scholars from other fields.
Yet, today, Japan is even more under the spotlight of legal and political discussion. The reforms stemmed from the recommendations of the Justice System Reform Council in 2001 are becoming visible; whilst the Abe administration launched a number of structural reform plans, from the proposed amendments to the Japanese Constitution to more specific legal reforms in key sectors such as fiscal and labour market policies. Against this backcloth, the proposed papers investigate the approach to the rule of law in Japan in order to expose what role can and does law play in the country. It will do so by exploring the Japanese legal system from different theoretical and methodological perspectives: after a systematic review of how Japanese law was misrepresented in general comparative law (with specific references to dispute resolution) (Colombo), the panel will offer critical remarks on the labour policy regarding atypical (non-regular) employment (Marinaro) and the participation of citizens and their on-going struggle for democracy which sees the conflicts of different social fields result in a consolidation of the force of law in Japan (Vanoverbeke).

Un principio di “terza freccia”: la mini-riforma del diritto societario

Prima di tutto vorrei ringraziare l’amico e collega Andrea Ortolani per avermi ospitato, a suo rischio e pericolo, nel salotto buono del diritto giapponese. Mi chiamo Marco Giorgi sono avvocato e partner di NODA Studio, mi occupo principalmente di diritto societario e diritto dei mercati finanziari. Congiuntamente all’attività forense, sono dottorando presso l’Università di Roma Tor Vergata (diritto societario comparato) e attualmente visiting scholar presso l’Università Keio di Tokyo.

Veniamo a noi. Il 27 giugno 2014 la Dieta giapponese ha approvato un’interessante riforma in “formato ridotto” del Codice delle Società. Facciamo qualche passo indietro. Differentemente dal sistema italiano, nel quale la materia del diritto societario è regolata, almeno nelle sue componenti fondamentali, dal Libro V del Codice Civile, il legislatore giapponese ha preferito mantenere l’approccio teutonico con una netta separazione, su di un piano codicistico, tra la materia commerciale e quella civile. Sino al 2006, le disposizioni in materia di società, con l’eccezione della legge sulle società a responsabilità limitata, erano contenute nel Codice di Commercio del 1899 (商法 – Shō-hō).
Con l’entrata in vigore del Codice delle Società (会社法 – Kaisha-hō) si decise di riorganizzare l’intero apparato normativo concernente le società commerciali. Uno degli scopi principali della riforma del 2006 era quello di avvicinare il vetusto sistema giapponese agli standard del tempo, mettendo le società e il sistema tutto in condizione di competere con le aggressive e performanti realtà straniere. A distanza di circa otto anni il tessuto economico giapponese non sembra averne tratto grandi giovamenti. La disastrata situazione delle finanze pubbliche, la stagnante situazione economica e la conseguente necessità di attrarre capitale straniero ha imposto al governo Abe l’adozione di misure politico-economiche non convenzionali. Delle tre frecce che compongono l’arcinota Abenomics, la prima (svalutazione del debito/Yen e quantitative easing) è quella che ha attirato maggior attenzione.

E’ cosa nota che il sistema “corporate” Giappone soffra di alcune patologie croniche, inter alia: (i) scarsa trasparenza delle attività e delle dinamiche societarie (vedi ad es. il caso Olympus); (ii) impermeabilità del mercato del controllo societario e forti barriere all’ingresso per capitali stranieri; (iii) scarsa attenzione ai diritti degli azionisti di minoranza; (iv) ritardo nell’adozione di principi contabili internazionali (IFRS).
A queste esigenze di riforma doveva (la forma passata è d’obbligo) dare risposta la terza freccia. Poco o nulla è stato fatto in tal senso, almeno fino alla recente modifica del Codice delle Società dello scorso giugno. Le modifiche introdotte dalla novella insistono principalmente sulla governance delle società e possono essere riassunte in quattro punti fondamentali:

(i) Rafforzamento del ruolo degli outside directors (i.e. amministratori indipendenti) e introduzione del principio comply or explain per la governance delle società quotate;
(ii) Introduzione di un nuovo sistema di governance incentrato sull’Audit Committee (i.e. Comitato per i Controlli Interni);
(iii) Maggiori poteri al collegio sindacale;
(iv) Rafforzamento dei limiti agli aumenti di capitale autorizzati in sede di consiglio di amministrazione.

Per quanto concerne il primo punto, al fine di tutelare e pertanto agevolare l’ingresso di nuovi soci (principalmente stranieri) nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio si è deciso di rafforzare il ruolo degli amministratori indipendenti. Per amministratori indipendenti si intendono, in parole poverissime, gli amministratori che non hanno alcun tipo di legame (oltre il mandato di amministrazione) con la società tale da alterarne appunto l’indipendenza di valutazione e giudizio. Si rileva tuttavia che la presenza di tali amministratori in seno al consiglio non rappresenta un requisito strutturale. Si è optato infatti per un più morbido approccio di stampo britannico: quello del comply or explain (ti attieni alla norma o spieghi i motivi per cui hai ritenuto di non doverlo fare). Nello specifico, le società quotate che decideranno di non nominare outside directors dovranno motivare tale scelta sia in sede di assemblea generale sia nel report annuale sulla gestione. Superfluo specificare che una motivazione lapalissiana quale “La società non ha proceduto alla nomina di amministratori indipendenti perché ha ritenuto non averne bisogno” è ictu oculi insufficiente. In caso di mancata o non sufficiente “explain” da parte del consiglio di amministrazione all’assemblea generale, la decisione assembleare di nomina di tale consiglio viene annullata con tutte le conseguenze che ne conseguono.

Con riferimento al secondo punto (a parere di chi scrive forse il più importante), si ricorda come i modelli di governance offerti dall’ordinamento giapponese prima del giugno scorso, fossero sostanzialmente due: (i) il modello classico con consiglio di amministrazione e collegio sindacale e tutte le sue derivazioni (取締役会設置会社 – torishimariyakukai secchigaisha); e il (ii) il modello di stampo monitisco dei “tre comitati” (委員会設置会社 – iinkai secchigaisha) auditing, nomine e remunerazioni. Il secondo modello impone che i comitati in seno al consiglio siano composti per la maggior parte da amministratori indipendenti. Ciò spiega la scarsa applicazione dello stesso: è stato adottato da solo il 2% circa delle società quotate sul listino di Tokyo. Il nuovo modello proposto dalla riforma prevede invece un solo comitato (Audit Committee) al posto del collegio sindacale. Il nuovo Comitato per l’Audit dovrà essere composto da minimo tre membri la maggioranza dei quali outside directors. Molto sommariamente, il Comitato per l’Audit andrà a svolgere le funzioni di controllo e supervisione dell’operato del consiglio di amministrazione. Essendo composto unicamente da amministratori dovrebbe operare in maniera più efficace del classico collegio sindacale. In più, tale nuova struttura di governo societario agevolerebbe l’introduzione di un numero sempre maggiore di amministratori indipendenti all’interno della governance di società quotate, a tutto vantaggio degli azionisti di minoranza.

Con riferimento al terzo punto di cui sopra, si segnala che la proposta di nomina/revoca dei revisori o della società di revisione da presentare all’assemblea degli azionisti passa dal consiglio di amministrazione al collegio sindacale, in tal modo assicurando maggiore indipendenza tra i revisori e l’organo gestorio.

In conclusione, la mini-riforma del Codice delle Società, che dovrebbe entrare a pieno regime nell’aprile/maggio prossimo, pur non risolvendo interamente i gravi problemi che affliggono la galassia corporate giapponese sembra porre delle ottime basi per il futuro. Permane per vero un po’ di scetticismo per l’approccio morbido del comply or explain (approccio a dire il vero universalmente accettato con la sola eccezione degli USA): in un contesto culturalmente resistente alle innovazioni il rischio che si vada a parare più sull’explain che sul comply è, a parere di chi scrive, molto alto.

Il nuovo visto – gioie e dolori

[post autobiografico ma con ambizioni di interesse generale]

Nel 2012 il Giappone ha riformato il sistema di immigrazione e visto, cambiando, tra l’altro, il regime di re-entry permit (再入国許可).

Una delle misure più significative è stata la creazione di un nuovo regime di visto per i cosiddetti “highly skilled foreign professionals”, ossia gli stranieri “altamente qualificati” nel settore accademico, tecnico-professionale e imprenditoriale-finanziario. In buona sostanza il governo giapponese ha deciso di concedere un regime di visto premiale per quegli stranieri ad alta specializzazione (e preferibilmente alto reddito e giovane età. In sostanza il genere di immigrazione che qualunque paese vuole) per incentivarne l’ingresso nel Paese.

Il nuovo sistema si basa su un punteggio che tiene conto di: livello di istruzione, reddito, età, esperienza nel settore di competenza, conoscenza della lingua giapponese, ecc. (qui potete scaricare la tabella). E qui già sorge un primo problema, posto che le persone di giovane età di solito non sono ad alto reddito e viceversa (il modulo per le attività accademiche prevede come ipotesi teorica che qualcuno che lavora in università e ha meno di 30 anni possa guadagnare più di 10.000.000 di yen all’anno. Ipotesi di pura fantascienza – a meno che tale individuo non abbia brevettato qualcosa di utilissimo e diffusissimo).

I vantaggi del nuovo visto sono in effetti significativi:

– durata di 5 anni;

– canale di accesso preferenziale alla residenza permanente;

– possibilità per il coniuge di lavorare;

– possibilità di far risiedere i propri genitori in Giappone;

(e altro. Qui la descrizione in inglese sul sito del Ministero della Giustizia – Dipartimento per l’immigrazione)

Fin qui, tutto piuttosto bene.

Problema: il governo giapponese si lamenta di non aver ricevuto molte domande per questo nuovo visto. Insieme domandiamocene il perché, alla luce di un case study: il mio.

Il mio visto non era lontano dalla scadenza, così ho deciso di fare domanda di cambio di status per accedere al nuovo regime. Premesso che ho ottenuto senza troppe difficoltà il nuovo visto e che ne sono garrulo, e premesso altresì che la procedura è stata rapida ed efficace, il personale professionale e gentile e che come sempre – almeno nella mia esperienza – il Giappone si rivela un paese fantastico dal punto di vista della P.A., ritengo utile condividere una serie di inconvenienti incontrati nel corso della procedura. Saputi in anticipo, possono rendere la vita più facile a chi si accinge a chiedere il visto come ho fatto io.

Primo inconveniente: poiché alcune parti del modulo non mi erano chiare, ho chiamato l’Ufficio immigrazione di Nagoya (competente per la quarta area urbana più popolosa del Giappone, 9.000.000 di abitanti circa, sede della Toyota…). All’Ufficio nessuno parla inglese (ovviamente nemmeno italiano), quindi occorre parlare giapponese. Nel mio caso non è stato un problema insormontabile ma a) c’è una discreta probabilità che chi chiede un visto non sia fluent in giapponese e b) parrebbe auspicabile che chi ha a che fare quotidianamente con stranieri parli almeno qualche parola di inglese.

Secondo inconveniente: il regime di visto per gli “highly skilled foreign professionals” è ancora un oggetto misterioso per la maggior parte degli impiegati, per cui alle mie richieste di chiarimento su quali documenti presentare la risposta più frequente è stata “Lei provi a depositare quelli che ritiene giusti, poi al massimo gliene chiediamo altri noi”.

Terzo inconveniente: la necessità di integrare la documentazione si è in effetti verificata. La richiesta mi è pervenuta a mezzo posta ordinaria un venerdì. Ho ritirato la posta sabato mattina. Il termine per la consegna dei documenti era il lunedì successivo, e si trattava di carte che dovevo richiedere al mio datore di lavoro. Per fortuna gli uffici dell’università sono efficienti, ma ho comunque dovuto annullare una riunione il lunedì pomeriggio per correre all’Ufficio immigrazione entro le 16.

Quarto inconveniente: ho una moglie italiana (no, non è questo l’inconveniente!) che vive con me in Giappone con un visto “coniuge”. Cambiando il mio visto è meglio cambiare anche il suo? Domanda rimasta senza risposta. Non che questo abbia effetti sulla validità del visto in corso, ma, ad esempio, potrebbe lavorare in base al nuovo regime con il vecchio visto?

Quinto “inconveniente”: il mio visto precedente diceva “Professore” (教授). Facile, comprensibile, chiaro. Addirittura qualche funzionario della dogana/immigrazione mi ha chiamato sensei. Il mio visto attuale recita 特定活動, traducibile come “attività specifica”. E di che? Per ovviare al problema del mistero sulle mie attività, l’Ufficio immigrazione mi ha pinzato dentro il passaporto un fogliettino di carta con la spiegazione di ciò che faccio. Speriamo che gli agenti dell’immigrazione degli aeroporti ne sappiano di più dei loro colleghi negli uffici…

Un’ulteriore annotazione: il visto è ora incorporato nella zairyuu kaado (在 留カード) e quindi il visto nel mio passaporto non è stato modificato. Il risultato è che il mio passaporto dice che me ne devo andare entro il 1 ottobre 2014. In realtà questo inconveniente riguarda tutte le nuove zairyuu kaado, non questa specificamente; lo menziono solo perché alla mia collega australiana un solerte funzionario delle linee aeree australiane voleva negare l’imbarco poiché a suo dire “sprovvista di visto valido”.

Questo è quanto. La prossima puntata nel 2019.

 

 

Intervista all’Osservatorio dell’Asia Orientale

Il titolare è stato intervistato nei giorni scorsi dall’Osservatorio dell’Asia Orientale su art. 9, riforme costituzionali, tensioni territoriali e qualche altro tema.

L’intervista inizia così:

D.: In occasione delle ultime elezioni giapponesi il Manifesto elettorale dell’LDP (Liberal Democratic Party) ha rilanciato e ufficializzato come linea di partito alcune proposte politiche proprie di Shinzo Abe e della sua passata amministrazione. Tra queste spicca l’emendamento costituzionale dell’Articolo 9 sulla “rinuncia alla guerra”. Quale futuro si prospetta e si auspica per questa modifica costituzionale?

R.: Più che futuro, direi quale passato si prospetta per questo articolo.
L’art. 9 è stato per decenni il simbolo del cosiddetto pacifismo giapponese, ed il problema della modifica costituzionale è un problema prima di tutto di simboli.

Potete continuare la lettura scaricando gratuitamente il numero di febbraio 2013 dell’Osservatore, la rivista dell’Associazione.

Comunicazione di servizio: La situazione attuale della giustizia in Italia

Domenica 5 agosto il titolare parlerà all’Università di Tokyo per gli studi stranieri ( 東京外国語大学 ) su “La situazione attuale della giustizia in Italia”,  alla riunione nazionale annuale dell’Associazione giapponese per lo studio della storia italiana moderna e contemporanea ( イタリア近現代史研究会 ).

14:00~15:00: Marco Del Bene (Univ. La Sapienza di Roma)
“Prima, seconda o terza Repubblica? Cosa cambia nel paese del Gattopardo?”
Commento di Shin’ichiro Murakami (Università per gli studi stranieri della città di Kobe)

15:10~16:10: Andrea Ortolani (Università di Tokyo)
“La situazione attuale della giustizia in Italia”
Commento di Jun Ashida (Biblioteca Nazionale del Parlamento)

16:30~17:30: Discussione generale

17:30~18:00: Conclusioni

Programma completo qui. Qui la mappa del cd. “Hongo Satellite”, luogo dove si terrà il convegno.

Piccola riforma della potestà genitoriale

Il 1 aprile 2012 è entrata in vigore una piccola riforma della potestà genitoriale.
La riforma introduce l’istituto della sospensione della potestà genitoriale per un periodo di due anni al massimo.

La riforma nasce dalla volontà di fornire uno strumento per limitare le violenze ( 虐待 ) sui minori. Che, stando a quanto sostenuto nelle motivazioni che accompagnano la legge, erano negli ultimi anni in preoccupante aumento.
La situazione precedente alla riforma prevedeva l’istituto della perdita della potestà genitoriale ( 親権喪失 ), ma tale misura poteva essere invocata in casi piuttosto limitati, e viste le conseguenze assai gravi, se ne faceva uso con molta cautela.
Si sentiva pertanto l’esigenza di un modo di proteggere il minore ed i suoi interessi nei casi in cui le condizioni richieste dall’art. 834 del Codice per la perdita della potestà genitoriale ( 親権を濫用し、又は著しく不行跡であるとき “abuso di potestà genitoriale o condotta estremamente cattiva/immorale”) non fossero soddisfatte, ma fosse però evidente una situazione difficile per il minore.

La riforma pertanto ha modificato gli articoli sulla potestà genitoriale e sulla tutela del minore ( 未成年後見 ).
La richiesta di sospensione della potestà del genitore può essere presentata al Tribunale di famiglia dai parenti del minore, dal Pubblico Ministero, dal minore stesso o dal tutore, o infine dai direttori dei Centri locali di assistenza ai minori ( 児童相談所 ).
Uno dei problemi dell’istituto della tutela era la difficoltà di trovare soggetti che si prestassero a diventare tutori, per il fardello di responsabilità che la cosa comporta. Grazie alla riforma è ora possibile nominare più tutori che si dividono i compiti, e anche persone giuridiche possono diventare tutori di un minore.

La riforma è intervenuta inoltre sul regime della custodia ( 監護 ) dei minori in caso di divorzio dei genitori, inserendo all’art. 766 CCJ un inciso che dichiara esplicitamente che le decisioni in merito alla custodia “devono essere prese secondo l’interesse prioritario del minore”.

Qui la pagina del Ministero della Giustizia con i materiali relativi alla riforma.

L’avvocatessa di campagna

Signore e signorine,
perché non provate ad andare a lavorare fuori dalle città?

No, non si tratta di un invito al lavoro nei campi.

Il pamphlet di cui si è riprodotta la prima pagina è della Federazione Giapponese degli Ordini degli Avvocati ( 日本弁護士連合会 Nihon bengoshi rengokai, in breve 日弁連 Nichibenren ma qui la chiameremo con l’acronimo inglese JFBA: Japan Federation of Bar Associations) ed è l’invito rivolto agli avvocati donna a trasferirsi nelle campagne, dove gli avvocati sono pochi, e pochissimi o nessuno donna. Il sottotitolo infatti recita:

Non ci sono abbastanza donne avvocato!!
Le donne sono il 17% sul totale degli avvocati.
In tutto il Paese ci sono 77 distretti di Tribunale in cui non vi è nemmeno una donna avvocato.

La cartina mostra il numero di distretti di Tribunale per ogni provincia in cui non vi è nemmeno un avvocato donna. E continua:

Aumentare il numero di avvocati donna nel territorio è un compito importantissimo!

L’azione del governo per la parità mira ad aumentare al 30% il numero degli avvocati donna entro il 2020, e ad azzerare i distretti in cui non vi è nemmeno un’avvocatessa.

Ma non è l’unica iniziativa rivolta a mandare gli avvocati fuori dalle metropoli.
Per risolvere il problema della cattiva distribuzione degli avvocati sul territorio, la JFBA promuove una serie di iniziative, raccolte e comodamente consultabili in una pagina web.

Aree oggetto delle iniziative di sostegno sono 1. i distretti di Tribunale in cui vi sono più di 30.000 abitanti per ogni avvocato 2. i distretti di Tribunale semplice in cui vi sia al massimo uno studio legale 3. i comuni ( 市町村 ) dove non vi sia nemmeno uno studio legale.
In queste zone designate, gli Ordini degli avvocati e la JFBA offrono un aiuto fino a ¥ 15 milioni (€ 140k) a chi intendesse aprire uno studio legale. Dall’aprile 2008, sono 4 gli studi legali sorti sfruttando questa possibilità. Vi sono aiuti anche per chi voglia ampliare studi già esistenti (fino a ¥ 2M) o chi si impegni a formare avvocati (fino a ¥ 1M).

In ogni caso, da una parte dicono che ci sono pochi avvocati e che al Giappone ne servono di più, dall’altra il numero di promossi all’esame per le professioni legali è in diminuzione e rimane inferiore ai piani stilati al tempo dell’introduzione delle Law School perché “Ahhh i giovani d’oggi, la preparazione non è assolutamente sufficiente, etc etc etc…”, insomma, non si riesce a capire bene quale sia in effetti la situazione al di là delle dichiarazioni di intenti, lo honne dietro al tatemae.

Convenzione dell’Aia sulla sottrazione internazionale di minori: dico la mia (parte II)

Si parlava della Convenzione dell’Aia sulla sottrazione internazionale di minori, e della prospettata adesione del Giappone.
Questo secondo post cerca di fare chiarezza in merito ai profili di diritto interno che dovranno essere modificati e coordinati con la disciplina pattizia, e ad una serie di problemi fondamentali che, nonostante l’adesione, potrebbero rendere l’adesione niente più che una vuota formalità.

I profili problematici sono i seguenti:

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