Deadline for applications extended! Summer School “Japanese Law in the XXI Century” – Torino, September 10-14

The deadline for applications for the Summer School “Japanese Law in the XXI Century” (SSJL) that will be held in Torino, from 10 to 14 September 2018, has now been extended to 30 June 2018.

The SSJL is a short, intensive program in Japanese law. For five days, leading experts will give lessons and participate in roundtables on Japanese law from a comparative law perspective.

The goal of the SSJL is advancing scholarship on Japanese law outside Japan.
In particular, it aims at providing students and young scholars in comparative law or in Japanese studies an opportunity to deepen their knowledge of the Japanese legal system.

All lessons will be in English. Knowledge of Japanese is welcome, but not required.

The organizers of the Summer School are Collegio Carlo Alberto of Torino, Keio University and the University of Torino.
The Japan Foundation and SIRD supported the event, which received also the endorsement of the Italian Society for Japanese Studies AISTUGIA.
The Bar Association of Torino (Ordine degli Avvocati di Torino) has accredited the SSJL as a source of professional training credits (crediti formativi).  Registered attorneys attending the SSJL will receive 23 credits.

More info, including a detailed program and the application form are on the website of the Summer School. For other questions, send a message to keiotorino2018@gmail.com.

Download here a PDF of the poster.

 

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Summer School “Japanese Law in the XXI Century” – Torino, September 10-14

Applications are open for the Summer School “Japanese Law in the XXI Century” (SSJL) that will be held in Torino, from 10 to 14 September 2018.

The SSJL is a short, intensive program in Japanese law. For five days, leading experts will give lessons and participate in roundtables on Japanese law from a comparative law perspective.

The goal of the SSJL is advancing scholarship on Japanese law outside Japan.
In particular, it aims at providing students and young scholars in comparative law or in Japanese studies an opportunity to deepen their knowledge of the Japanese legal system.

All lessons will be in English. Knowledge of Japanese is welcome, but not required.

The organizers of the Summer School are Collegio Carlo Alberto of Torino, Keio University and the University of Torino.
The Japan Foundation and SIRD supported the event, which received also the endorsement of the Italian Society for Japanese Studies AISTUGIA.

More info, including a detailed program and the application form are on the website of the Summer School. For other questions, send a message to keiotorino2018@gmail.com.

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Summer School “Japanese Law in the XXI Century”

Sono aperte le iscrizioni alla Summer School di diritto giapponese “Japanese Law in the XXI Century”, che si terrà a Torino dal 10 al 14 settembre 2018.

La Summer School è un programma breve e concentrato di diritto giapponese: 5 giorni con ospiti nazionali e internazionali di altissimo livello, che terranno lezioni e tavole rotonde.
Si affronteranno,
 in chiave comparata, temi di diritto costituzionale, diritto privato, diritto penale, relazioni internazionali, oltre a lezioni di storia, sociologia e filosofia del diritto giapponese.

Si tratta di un’occasione unica in Italia per approfondire aspetti fondamentali del sistema giuridico del Giappone, incontrare esperti della materia e fare network con altri giovani studiosi, italiani e non.

Il programma è rivolto a studenti e giovani ricercatori in materie giuridiche o in Japanese Studies.
Tutte le lezioni saranno in lingua inglese.

La Summer School è organizzata dal Collegio Carlo Alberto di Torino, dall’Università Keio e dall’Università di Torino.
Japan Foundation e SIRD sostengono l’iniziativa, che è altresì patrocinata da AIGDC e AISTUGIA.

Maggiori informazioni, incluso il programma dettagliato e la domanda di partecipazione, sul sito web dell’evento, o nel caso aveste ulteriori dubbi, inviando un messaggio a keiotorino2018@gmail.com.

Qui la locandina in formato PDF.

 

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I SOKAIYA: LA SERIE (Disturbatori d’assemblea di professione – Parte Seconda)

Nella prima “puntata” abbiamo provato ad abbozzare una definizione più o meno esaustiva di sōkaiya, in questo post ci soffermeremo maggiormente sulla genesi, le tipologie e i metodi degli stessi.

Individuare il momento esatto dell’entrata in scena dei sōkaiya è compito arduo. Il fenomeno per come lo conosciamo noi oggi trae molto probabilmente origine dalle riforme imposte dall’occupazione americana del secondo dopoguerra.

Gli Stati Uniti, nel processo di ammodernamento del paese, individuarono negli zaibatsu (le arcinote concentrazioni industriali e finanziarie a struttura verticale) il diaframma da abbattere per l’instaurazione di un sistema economico moderno e concorrenziale.

Questo pacchetto di riforme fece sì che la proprietà dei grandi gruppi venisse dispersa presso un pubblico più ampio. Con l’espansione, forzata, dei mercati dei capitali e con una conseguente maggiore partecipazione alla compagine societaria nipponica, si aprirono gli spazi per tutti quei soggetti malintenzionati prima estranei a questo mondo.

Una prima originaria forma di sōkaiya era rappresentata dai bunkatsuya, termine di difficile traduzione (分割 – bunkatsu significa divisione, scissione). I bunkatsuya acquistavano un certificato azionario di una società rappresentativo di più azioni. Fatto ciò, il bunkatsuya chiedeva alla società di emettere tanti certificati azionari quante erano le azioni rappresentate dal primo certificato acquistato. A questo punto il bunkatsuya comunicava alla società che le azioni erano state cedute a soggetti terzi, di solito un soggetto per azione, ma che al contempo lo stesso continuava ad operare quale delegato dei nuovi azionisti. Il Codice di Commercio del tempo prevedeva una procedura assai gravosa in questi casi, sia in termini pubblicitari, sia in termini di informazioni agli azionisti: la società era costretta a contattare ogni singolo nuovo azionista per verificare la genuinità della delega, iscrivere i nuovi soci e le rispettive deleghe nel libro soci, emettere i nuovi certificati ecc. Questa diabolica procedura richiedeva una tale quantità di lavoro da rendere più conveniente alla società di pagare il bunkatsuya per ritirare la propria richiesta di frazionamento del titolo azionario piuttosto che evaderla.

Tale esempio è emblematico per comprendere un fenomeno che molti, Szymkowiak in primis, ritengono trarre origine dalla particolare cultura sociale dei giapponesi. A ben vedere, sebbene la scintilla e la propagazione di tale disfunzione possano sembrare il frutto di una cultura quanto mai protratta verso un ideale di armonia, la realtà è ben altra. Il bunkatsuya otteneva un guadagno illecito approfittando di una situazione di inefficienza normativa (il diritto di ricevere un certificato per ciascuna azione detenuta), per contro le società, in un’ottica di mera convenienza economica, preferivano pagare il bunkatsuya piuttosto che dare seguito alle sue richieste. Ciò è confermato dal fatto che, a seguito della riforma del codice di commercio del 1982, in virtù della quale alle società veniva riconosciuta la facoltà di emettere certificati azionari rappresentativi di lotti di entità minima più consistente (ad es. 100 o 1.000 azioni), la figura dei bunkatsuya sparì nell’arco di una notte.

Ritornando ai sōkaiya, un’ulteriore precisazione è d’obbligo: questi soggetti non sempre si pongono in diretto contrasto con una società, può accadere che gli stessi operino per conto di questa (o meglio per conto degli azionisti di maggioranza della stessa). I sōkaiya possono essere così suddivisi in due macro categorie in funzione del loro schieramento:

  • Yatō sōkaiya (野党総会屋). Sono forse la forma di più chiara comprensione. Sono estorsori che operano contro una società con varie tecniche quali: minacciando di rivelare informazioni sensibili in sede assembleare o di divulgarle a mezzo stampa, disturbando o minacciando i partecipanti o il management durante le assemblee ecc.;
  • Yotō sōkaiya (与党総会屋). Sono invece quei sōkaiya che operano al soldo dell’azionista di maggioranza o del management per: sopprimere il dissenso dei soci di minoranza, accelerare l’iter e le decisioni assembleari, contrastare l’operato di altri sōkaiya

Vi sono poi ulteriori categorie organizzate in funzione del tipo di attività/specializzazione del sōkaiya.

Si va dai banzaiya, acceleratori di assemblee, il cui loro ruolo è principalmente quello di deliberare a favore degli argomenti all’ordine del giorno in maniera chiassosa semplicemente urlando “igi nashi” (異議) cioè “nessuna obiezione”, alla loro nemesi, i sōkai arashi (総会嵐), letteralmente le “bufere delle assemblee”, il cui unico fine è quello di rendere impossibile lo svolgimento delle assemblee in modi più o meno violenti.

Una categoria degna di nota è poi quella dei shinbunya (新聞屋), i “giornalisti” o forse meglio “giornalai”, i quali minacciavano le società di rivelare informazioni scomode o sensibili attraverso giornali e/o riviste che gli stessi si impegnavano a stampare e distribuire. Qui la struttura dell’estorsione raggiungeva il suo apice: la società non pagava direttamente il shinbunya, spesso acquistava tutta la tiratura di tali pubblicazioni potendo così mascherare meglio la spesa sulle scritture contabili e addirittura facilitare al sōkaiya il “lavaggio” del capitale ottenuto illecitamente.

 

つづく・・・

I SOKAIYA: LA SERIE (Disturbatori d’assemblea di professione – Parte Prima)

L’universo del diritto giapponese è popolato da figure mitologiche, creature sovrannaturali di un diritto incomprensibile ai più. Di fronte a tali diversità e nell’impossibilità di individuare o comprenderne l’origine, lo studioso più pigro tende a trincerarsi dietro a non meglio specificati ragioni socio-culturali.

L’argomento oggetto del presente articolo è emblematico in tal senso. Cediamo anche noi a questo approccio e partiamo dal fatto, di cronaca nera più precisamente.

Correva l’anno 1994 e il Giappone stava affrontando la prima grande crisi economica dal secondo dopoguerra, la Yakuza aveva ormai varcato i confini giapponesi per entrare nell’immaginario occidentale grazie a film quali Black Rain e Fujifilm si preparava a sponsorizzare il primo mondiale di calcio negli Stati Uniti. Juntaro Suzuki era un uomo di 61 anni, manager capace dalla condotta specchiata. Solo due anni prima era stato promosso Vice President di Fuij Photo Film Co. con delega ai rapporti con gli azionisti. Tale delega non gli fu però rinnovata e questo fu forse causa della sua morte. Il 28 febbraio del 1994 Suzuki viene assassinato davanti all’uscio di casa colpito da più fendenti di cui uno mortale alla gola. Dalla natura delle ferite riportate, si intuì subito che non si trattava di un coltello quanto piuttosto di una spada giapponese (katana). Tale dettaglio fece propendere nei primissimi istanti per un omicidio politico perpetrato da un gruppo di estrema destra. Poco tempo trascorse prima che gli inquirenti indirizzassero le loro attenzioni nella giusta direzione: il mondo dei Sōkaiya.

Il 19 gennaio del medesimo anno si era tenuta l’assemblea degli azionisti di Fuji Film, durante la quale disturbatori di professione spalleggiati dalla Yamaguchi-gumi (il più potente gruppo della Yakuza) avevano subissato il presidente Minoru Ounishi di domande pretestuose per oltre quattro ore. Il più agitato di questi disturbatori arrivò a scagliare contro lo stesso tre bottiglie di liquore prima di essere arrestato. Il clima di terrore attorno la società era di tutta evidenza al punto che la polizia aveva deciso di sorvegliare le abitazioni degli amministratore nei giorni seguenti. Sfortunatamente per Suzuki, non essendo delegato all’assemblea, la polizia non lo ritenne soggetto a rischio e non gli accordò quella protezione di cui sicuramente necessitava. Suzuki infatti aveva deciso di tenere un comportamento di assoluto rifiuto nei confronti di questi ricattatori. Questo rifiuto gli costò la vita.

In questa vicenda (narrata in stile Blu Notte) si palesò al grande pubblico, soprattutto quello estero, il fenomeno dei sōkaiya. Cerchiamo di dare una definizione più o meno esaustiva di sōkaiya (総会屋). Letteralmente il termine sōkaiya deriva dalla composizione di due parole: (i) sōkai (総会) che indica l’assemblea degli azionisti (a voler essere corretti è un’abbreviazione di kabunushi- sōkai (株主総会) dove i kabunishi sono appunto gli azionisti); e il suffisso ya (屋) che a sua volta indica un soggetto operante per professione in un determinato contesto o materia, quale appunto quella delle assemblee degli azionisti.

I sōkaiya sono pertanto coloro che operano professionalmente nel contesto delle assemblee degli azionisti di società commerciali. Detto così può sembrare un lavoro come un altro, una delle tante figure consulenziali che gravitano attorno alle società. Ed effettivamente così è. L’unica distinzione tra i sōkaiya e gli altri “consultant” risiede nell’illiceità della loro condotta e nella brutalità dei loro metodi.

Ciononostante, nel descrivere tale fenomeno si rischia di cedere a semplificazioni che non ne agevolano la comprensione: i sōkaiya possono essere estorsori, taglieggiatori, insider trader, o truffatori; possono intrattenere rapporti continui con la Yakuza o essere al soldo delle società, possono essere questo e molto altro. Per tali ragioni e per l’eterogeneità dei loro metodi e delle loro condotte possiamo provare ad abbozzare una definizione.

Per sōkaiya deve intendersi un individuo o gruppo di individui che, in virtù del proprio status di azionista/i di una società commerciale (generalmente quotata), mediante comportamenti di natura illecita, procura/no a sé o al gruppo di cui è/sono parte un ingiusto profitto ad esclusivo detrimento della società stessa.

つづく・・・

I giapponesi che fanno causa (XXXI): suicidi e molestie, cancro a Fukushima, libertà di stampa

73. Suicidio per molestie?

Una dipendente della catena di family restaurant italianeggianti “Saizeriya” si suicida.
I familiari citano in giudizio il manager del ristorante dove lavorava la donna, sostenendo che il suicidio è dovuto alle molestie sessuali da lei subite nei 9 mesi precedenti il suicidio.
La richiesta è di ¥98 milioni, circa €725.000 al cambio attuale.

74. Cancro a Fukushima

Un uomo che ha lavorato alla messa in sicurezza della centrale nucleare di Fukushima-1 dopo l’incidente si è ammalato di cancro in carie parti del corpo.
L’uomo ha citato in giudizio presso il Tribunale di Sapporo il gestore della società, TEPCO, sostenendo che l’insorgenza del tumore è dovuta all’esposizione alle radiazioni avvenuta durante la sua attività lavorativa, e chiedendo 65 milioni (€480.000) come risarcimento del danno.

75. Kisha kurabu e libertà di stampa

Nel settembre 2012 la giornalista Hajime Shiraishi ha citato in giudizio il governo e il kisha kurabu del Parlamento giapponese (sui kisha kurabu, o “circoli dei giornalisti”, qui o qui) in merito alla gestione dell’edificio dove ha sede il club, vista da Shiraishi come un grave impedimento alla libertà di stampa.
L’Alta Corte di Tokyo ha giudicato inammissibile la domanda della giornalista.
La questione ora pende presso la Corte Suprema.

(puntata precedente)

La mentalità giuridico-legalista dei giapponesi

Leggete questo pezzo, che descrive come alcune persone in Giappone, per la colpa di essere nate da genitori non sposati e che per una serie di motivi non hanno registrato ufficialmente la propria nascita agli uffici comunali, nel registro di famiglia, sono sostanzialmente prive di alcuni tra i diritti più elementari.
Il fatto che i loro genitori non abbiano seguito la legge fa sì che questi soggetti non possano ottenere certificati di nascita, di residenza, e di conseguenza non possano aprire un conto in banca, prendere la patente, ottenere un passaporto, con tutte le conseguenze sul piano sociale, lavorativo, etc… che si possono immaginare.
Si tratta di persone in carne ed ossa, che  sono vive e respirano, parlano, si presentano agli uffici dell’anagrafe, ma poiché mancano alcuni timbri e iscrizioni sul koseki, il registro di famiglia, è come se non esistessero. Invisibili.

Pensateci un attimo, e poi pensate a chi parla della mentalità giuridica sottosviluppata dei giapponesi. Al contrario, qui io vedo il trionfo di un tipo di legalismo burocratico, che fa della legge un idolo indiscutibile e immutabile.

Forse qualcosa si muove, oltre all’attivismo citato nell’articolo, anche nelle aule giudiziarie.
La Corte Suprema esaminerà due casi in tema di diritto di famiglia, in composizione plenaria, il 4 novembre 2015.
Il primo sulla possibilità per tutti gli individui sposati di mantenere il proprio cognome: ora questo è un privilegio che spetta solo alle coppie in cui un coniuge non è di nazionalità giapponese. Nel matrimonio tra due giapponesi infatti, uno dei due, nei fatti di solito la moglie, deve perdere il proprio cognome per acquistare quello dell’altro coniuge (art. 750 c.c. Jpn). La sua persona viene cancellata dal registro di famiglia dei genitori, andando così a finire sul nuovo registro di famiglia, cioè quello del coniuge che ha mantenuto il cognome, il capofamiglia.
Il secondo caso verte sulla disposizione del codice civile che impedisce alla donna divorziata di risposarsi prima che siano passati 6 mesi dal divorzio (art. 733 c.c. Jpn).
Le sentenze potrebbero arrivare entro l’anno.

I giapponesi che fanno causa (XXX): toilettes, Okinawa e alcool

69. Troppi schizzi

Secondo questo articolo il presidente di una società di Osaka ha citato in giudizio il proprietario e gestore dell’immobile dove la società ha sede, perché gli orinatoi facevano “rimbalzare” troppi liquidi addosso al presidente.
Notare che dopo i lavori di rinnovo che avevano sostituito una  prima volta gli orinatoi, dietro insistenza del presidente, gli orinatoi erano stati cambiati una seconda volta, ma ciò non era bastato a soddisfare l’attore, che ha deciso di fare causa, chiedendo anche 8.400.000 yen (€ 60.000) come risarcimento del danno.
Il Tribunale di Osaka non ha accolto la domanda.
Qui la figura, grazie a sankei.com

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(grazie a Mulboyne per la segnalazione via twitter)

70. Okinawa: risarcimento per il rumore della base militare americana

Il Tribunale di Naha, pres. Satoshi Hikage ( 日景 聡 ) ha riconosciuto a circa 2.200 attori residenti nei pressi della base militare americana di Futenma, a Okinawa, ¥754M (circa 5,4 milioni di euro) come risarcimento che il governo giapponese dovrà pagare per il rumore causato dagli aerei militari.

71. Okinawa: risarcimento per le sofferenze di guerra

Un gruppo di 79 residenti di Okinawa sta portando avanti una causa dal 2012 in cui chiede al governo giapponese il risarcimento dei danni causati dalle sofferenze da essi subite durante la Seconda Guerra Mondiale, 70 anni fa.

72. [Senza titolo]

Un ragazzo partecipa a una festa con i compagni di università, come migliaia di altre da sempre in tutto l’Arcipelago. Beve -o viene incitato a bere- troppo, va in coma etilico, muore -o viene lasciato morire, poiché l’ambulanza verrà chiamata solo due ore dopo.
Alcuni dei compagni hanno accettato di pagare un risarcimento alla famiglia (circa €17.000 a testa). Altri 21 ragazzi no, ed i genitori del ragazzo fanno loro causa per un totale di ¥169.000.000, circa €1,2 milioni, o €60.000 a testa.

(puntata precedente)

La dura lotta al crimine in Giappone

Nel video qui sotto, il capo della stazione di polizia di Itayanagi, provincia di Aomori, Akiyuki Kudo ( 工藤 昭幸 , 51 anni ) all’opera con un collega in un’azione contro le truffe “speciali” (?).
Immagino si tratti di quelle che fino a qualche tempo fa erano conosciute come “Ore-ore sagi “, cioè truffe in cui il truffatore impersona per telefono un soggetto caro alla vittima (“Ore, ore”, cioè “Sono io, sono io!”) dicendo di essere stato coinvolto in problemi o incidenti di vario tipo, e chiede alla vittima di fare immediatamente un bonifico, o annuncia che un collega passerà subito da casa della vittima a prendere soldi, etc…

Qui sotto la canzone completa e questo il link al testo con gli accordi.

(grazie a Mulboyne per la segnalazione via twitter)

Pena di morte e errori giudiziari

David T. Johnson ha pubblicato su Japan Focus una serie di tre articoli sulla pena di morte e sul problema degli errori giudiziari e condanne ingiuste in Giappone.

Il primo contributo, Will Wrongful Convictions Be a Catalyst for Change in Japanese Criminal Justice?, scritto in collaborazione con Matthew Carney, presenta un video, toccante, che ritrae 3 famosi casi di condannati a morte dichiarati poi non colpevoli, e rilasciati prima dell’esecuzione, dopo anni passati nel braccio della morte: Iwao Hakamada, Kazuo Ishikawa e Toshikazu Sugaya.

Il secondo, An Innocent Man: Hakamada Iwao and the Problem of Wrongful Convictions in Japan, ripercorre in dettaglio la storia e la vicenda processuale di Hakamada, l’uomo che detiene il triste record mondiale di soggetto detenuto più a lungo nel braccio della morte: arrestato nel 1966, condannato nel 1968, rilasciato nel 2014. Poco meno di 48 anni in prigione.
L’articolo presenta i fatti che portarono all’arresto, gli interrogatori, la condanna, la storia dell’altra vita distrutta da questo episodio, quella del giudice Norimichi Kumamoto, membro (dissenziente) del collegio che condannò Hakamada, fino agli sviluppi più recenti.
Ora Hakamada è in attesa di un nuovo processo, che inizierà forse nel 2016 o chissà, anche più tardi. Interessante notare che la pubblica accusa ha presentato appello contro la decisione di riaprire il processo e continua a sostenere la propria tesi accusatoria.

Il terzo, Wrongful Convictions and the Culture of Denial in Japanese Criminal Justice è un’analisi del problema degli errori giudiziari in Giappone. Gli studi su questo tema incontrano diversi ostacoli, tra cui quello fondamentale consiste nel fatto che non è possibile sapere il numero preciso di condanne ingiuste, per cui le stime si basano su statistiche e impressioni dei difensori. Tuttavia, attraverso un’analisi comparata, è possibile identificare quali siano i maggiori problemi di un sistema e quali i problemi che più probabilmente generano condanne ingiuste.
In generale, le cause alla radice degli errori giudiziari in Giappone sono identificate nella pratica della confessione ricercata ad ogni costo, e nella cd. “cultura della negazione” che permea il sistema della giustizia penale: la negazione della possibilità di un errore, che porta i PM o i giudici a sostenere una posizione ben oltre il limite della ragionevolezza.

In generale, tre articoli molto importanti su un caso fondamentale per conoscere la giustizia penale giapponese.