I risarcimenti di Fukushima (parte VI)

I risarcimenti di Fukushima (parte VI)

Dopo aver parlato delle Seconde linee guida sui risarcimenti, questa puntata della serie sui risarcimenti di Fukushima tratterà dei profili transnazionali della vicenda.

Le esplosioni avvenute alla centrale nucleare hanno disperso particelle radioattive nell’atmosfera. Esse si sono depositate non solo in tutto il Giappone, ma, trasportate dai venti e dalle correnti di alta quota, tracce di cesio e iodio radioattivi sono state segnalate in tutto l’emisfero settentrionale del pianeta.
L’acqua contaminata colata nell’Oceano è stata trasportata dalle correnti e potrebbe raggiungere le acque di altri Stati. Sotto quest’ultimo aspetto, l’incidente di Fukushima non ha precedenti e non si hanno studi o modelli che possano dare indicazioni precise su quale sarà il potere diluente dell’Oceano e quanto i prodotti ittici risentiranno dell’inquinamento radioattivo.
Anche perché non c’è ancora chiarezza sulla quantità di materiale radioattivo effettivamente uscita dai reattori, non si sa quali siano le perdite al momento né quanto la situazione sia effettivamente sotto controllo. Ciò rende naturalmente assai difficile qualsiasi previsione.
Quello che è chiaro in ogni caso è che le conseguenze non si sono prodotte esclusivamente su scala nazionale, ma su scala globale.
La questione riguarda dunque la responsabilità del Giappone nei confronti di altri Paesi che abbiano subito i danni del fallout o della contaminazione delle acque.

I trattati che hanno regolato la materia fino al 1997 sono stati la Convenzione di Vienna sulla responsabilità civile per danni nucleari del 1963, promossa dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), e la Convenzione di Parigi sulla responsabilità civile nel campo dell’energia nucleare del 1960, integrata dalla Convenzione complementare di Bruxelles del 1963, promossa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).
Qui la situazione relativa a firmatari, ratifiche, dichiarazioni, etc… della Convenzione di Vienna.
Qui la situazione relativa alla Convenzione di Parigi e alla Convenzione di Bruxelles.

Le disposizioni di dettaglio dei due trattati sono diverse e per alcuni aspetti incompatibili, pertanto un Paese non può essere contemporaneamente firmatario di entrambi, ma i principi a cui si ispirano sono analoghi.
Sull’applicazione di queste Convenzioni è intervenuto il Protocollo Comune del 1988, entrato in vigore nel 1992, che ha coordinato alcune delle norme in essi contenuti.
I due trattati dispongono in materia di:

  • previsione di responsabilità oggettiva ed esclusiva del gestore degli impianti nucleari;
  • previsione di un tetto al risarcimento;
  • previsione di un termine oltre il quale l’azione di risarcimento si prescrive;
  • imposizione al gestore di assicurarsi contro incidenti;
  • giurisdizione dei tribunali del Paese sul cui territorio si è verificato l’incidente.

La Convenzione di Vienna è stata modificata nel 1997, mentre la Convenzione di Parigi e la relativa Convenzione di Bruxelles sono state modificate tre volte: nel 1964, nel 1982 e nel 2004. L’ultima modifica tuttavia non è ancora stata ratificata da un numero sufficiente di Paesi per entrare in vigore.
Nel 1997 inoltre l’AIEA ha approvato la Convenzione complementare sul danno nucleare.

Nonostante questo quadro di diritto internazionale, diversi Stati che fanno ricorso all’energia atomica non sono ancora parti di nessuna convenzione.
Il Giappone, a causa dell’atteggiamento tenuto fino al 10 marzo 2011, che riteneva la sicurezza delle centrali del Paese al di sopra di ogni dubbio, è uno di questi Paesi.
Le questioni relative ai risarcimenti erano affrontate da due leggi statali: la Legge sul risarcimento dei danni da energia nucleare ( 原子力損害の賠償に関する法律 , l. 147 del 17 giugno 1961, ult. mod. l. 19/2009) e la Legge sul contratto di indennizzo per il risarcimento dei danni da energia nucleare ( 原子力損害賠償補償契約に関する法律 , l. 148 del 17 giugno 1961, ult. mod. l. 19/2009). I gestori di centrali nucleari devono fornire garanzie per 120 miliardi di yen, e la loro responsabilità non è limitata.
Il governo può tuttavia sollevare l’operatore dalla responsabilità se si determina che il danno è causato da “un grave disastro naturale di carattere eccezionale”, cosa che non è avvenuta nel caso degli eventi dell’11 marzo.

La mancata adesione a trattati internazionali è stata probabilmente motivata anche da un fine protettivo nei confronti dei cittadini giapponesi, nella presupposizione che incidenti avrebbero potuto verificarsi solo al di fuori del Giappone.
In caso di adesione infatti la giurisdizione è devoluta ai tribunali del Paese, che si presumeva straniero, dove l’incidente si fosse verificato, mentre in mancanza di adesione un soggetto giapponese ha la possibilità di rivolgersi più comodamente alle più familiari corti domestiche.
L’incidente invece, contrariamente ai pronostici, si è verificato in Giappone, e la situazione si è rovesciata. In assenza di una norma pattizia che devolve la giurisdizione ai tribunali del Paese dove l’incidente si è verificato vi è il rischio che un soggetto che risieda fuori dall’Arcipelago e che intenda presentare domanda possa farlo presso le corti del suo Paese: un soggetto statunitense negli Stati Uniti, un cinese in Cina e così via.
È vero che il problema si sposterebbe poi in fase di esecuzione, nel momento in cui sorga la necessità di riconoscere in Giappone la sentenza straniera: le Corti giapponesi ad esempio non riconoscono sentenze straniere in cui si liquidino danni punitivi, per contrarietà all’ordine pubblico.
Ma tutta la fase relativa al processo si svolgerebbe fuori dai confini giapponesi.

Al Ministero degli Esteri non risulta che siano state presentate in altri Stati domande per il risarcimento dei danni nei confronti di TEPCO o del governo giapponese, né mi risultano notizie recenti in tal senso.

I vicini del Giappone che possiedono centrali nucleari, come Cina e Corea del Sud, non sono parti di convenzioni internazionali.
Secondo un funzionario del Ministero degli esteri, la firma dei trattati da parte giapponese non avrebbe senso se ai trattati sopra citati non aderissero anche i Paesi circostanti.

(continua)

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