Andrea Ortolani

Tag: legge elettorale

Costituzionale, incostituzionale e “in uno stato di incostituzionalità”

Il controllo di costituzionalità delle leggi è una delle conquiste del costituzionalismo moderno. Il suo obiettivo è garantire che lo Stato eserciti i suoi poteri in conformità alla Costituzione, e assicurare così il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini da essa sanciti.

Le leggi possono essere conformi alla costituzione o non conformi. Questa è logica, ed è quanto lo studente del primo anno di giurisprudenza impara nelle prime lezioni.
Qualche lezione dopo lo studente italiano incontra alcuni stratagemmi della Corte Costituzionale italiana: non contenta della scelta, a volte drastica, posta dal semplice rigetto o accoglimento della domanda, la Corte ha ideato tecniche che permettono di calibrare meglio gli effetti delle proprie pronunce. Abbiamo così sentenze di accoglimento parziale, interpretative, additive. Qui uno schema sintetico. Si tratta di un’evoluzione che aggiunge sfumature alle pronunce della Suprema Corte, ma che non mette in discussione l’approccio binario: la legge, o parti di essa, o una sua determinata interpretazione, sono costituzionali o incostituzionali.
E nel caso una norma sia incostituzionale, essa cessa di avere effetti.

Mercoledì 20 novembre la Corte Suprema giapponese ha  reso sentenza sui casi in cui era in discussione la disparità tra la popolazione di vari collegi elettorali.
Il problema è questo: alcuni parlamentari sono eletti in collegi (rurali) la cui popolazione è in certi casi inferiore alla metà rispetto ad altri collegi (urbani). Vi è dunque una violazione del principio di eguaglianza, poiché il voto dell’elettore di un collegio urbano “pesa” assai meno del voto dell’elettore di un collegio scarsamente popolato. O, se vogliamo vedere la cosa da un punto di vista macro, le zone urbane sono sottorappresentate rispetto alle campagne.

Due gruppi di avvocati avevano attaccato la legge che stabilisce i confini dei collegi e chiedevano l’annullamento delle elezioni nei collegi dove la disparità era più pronunciata. Alte Corti dell’Arcipelago in primavera avevano reso sentenza su questo problema. Due pronunce avevano sorprendentemente accolto la domanda e dichiarato nulle le elezioni. Altre avevano dichiarato lo stato di incostituzionalità senza dichiarare la nullità delle elezioni. Ne avevamo parlato qui qui e qui.

Le sentenze erano state ovviamente appellate e la questione era passata alla Corte Suprema. Come già accaduto nel 2011, la Corte ha dichiarato che le elezioni sono “in uno stato di incostituzionalità”:「違憲状態」. Una terza categoria.
In altre parole: le norme in oggetto non sono conformi alla Costituzione, ma non vogliamo spingerci fino ad una dichiarazione di nullità dei risultati che da esse discendono. Incostituzionali ma valide.

Mi limito ad alcuni brevi commenti.

Il primo: episodi come questo mi pare siano conseguenza diretta e segno della concezione rigidissima della divisione dei poteri in Giappone. Almeno per quanto riguarda gli aspetti formali dell’esercizio dei poteri.
L’idea che il potere giudiziario possa interferire in maniera significativa nelle faccende del Parlamento o del governo, mi pare uno dei tabù presenti nell’architettura costituzionale giapponese. A maggior ragione quando una norma costituzionale, come l’art. 47 Cost. prevede esplicitamente che “I distretti elettorali, le modalità di elezione e le altre qustioni relative alle elezioni dei membri di entrambe le camere del Parlamento sono decise per legge“(「選挙区、投票の方法その他両議院の議員の選挙に関する事項は、法律でこれを定める。」). Vi sono naturalmente casi in cui l’interferenza è ammessa, in virtù di principi ritenuti superiori alla divisione dei poteri. Ad es. il rispetto delle norme penali: quando vi siano ipotesi di reato la magistratura agisce. Ma in ipotesi non sanzionate dal diritto penale, come questa, come le decisioni sull’art. 9 Cost., come le questioni in materia di centrali nucleari, la magistratura ha la tendenza fortissima a qualificare la questione come “politica” e pertanto rientrante nella discrezionalità spettante al legislativo o all’esecutivo, e insomma a fare come le tre scimmiette di Nikko.

Le sentenze sono unanimi nel dichiarare che le elezioni non devono essere annullate.
Vi sono le opinioni dissenzienti dei giudici Otani, Ohashi e Kiuchi, che sostengono la tesi dell’incostituzionalità e non dello “stato di incostituzionalità”, ma anche questi tre giudici ritengono, insieme alla maggioranza, che non sia opportuno annullare i risultati delle elezioni.
Ora, l’art. 98 Cost prevede che: 

この憲法は、国の最高法規であつて、その条規に反する法律、命令、詔勅及び国務に関するその他の行為の全部又は一部は、その効力を有しない。
Questa Costituzione è la legge suprema del Paese, e le leggi, decreti, rescritti e tutti gli altri atti del governo che siano totalmente o in parte in contrasto con essa, non producono effetti.

Alla luce di questa norma, le posizioni dei giudici dissenzienti non mi sembrano meno problematiche di quelle della maggioranza: se lo stratagemma della terza categoria “in uno stato di incostituzionalità” potrebbe forse giustificare l’elusione dell’applicazione diretta dell’art. 98 (il problema naturalmente rimane a monte, nella stessa creazione della terza categoria), mi pare più contraddittoria la posizione del giudice che riconosca l’incostituzionalità ma che al contempo eviti l’applicazione dell’art. 98.

I giudici della Corte Suprema sono al top della loro carriera. Sono tra i massimi funzionari dello Stato. Tranne casi eccezionali, durano in carica più del Primo Ministro che li ha nominati. Terminato il loro mandato, di solito vanno in pensione.
Mi pare che la loro indipendenza sia garantita e che non siano particolarmente esposti a rappresaglie in caso di decisioni a sfavore del governo. Anche il controllo popolare previsto in Costituzione (Cost. 79.2) non ha mai sortito effetti.
Mi sembra strano dunque che nemmeno uno dei 14 giudici abbia ritenuto che alla violazione ripetuta e ricorrente, direi strutturale, del principio di eguaglianza tra gli elettori, consegua un qualche risultato concreto, come l’annullamento delle elezioni. Certo, ciò causerebbe un caos istituzionale non indifferente, ed è forse questa una considerazione che impedisce ai giudici di adottare l'”opzione nucleare”.
Forse però l’assenza di dissenso è da cercarsi nelle dinamiche che guidano i giudici della Corte Suprema nelle loro scelte di voto e nelle loro opinioni.
Ho scritto recentemente un breve studio sulla opinione dissenziente nella Corte Suprema giapponese, di cui cito un passo che mi sembra rilevante in questa vicenda:

Inoltre, è stato sostenuto che l’opinione dissenziente in Giappone abbia un effetto “suicida”, poiché il venire allo scoperto e rivelarsi come opinione minoritaria sancisce la propria sconfitta, e scoraggia l’adesione a tale indirizzo in decisioni successive. L’opinione dissenziente tuttavia, in maniera analoga a quanto avviene in altri sistemi, costituisce un primo segnale di debolezza di norme di legge o di correnti giurisprudenziali.

Probabilmente la questione verrà di nuovo sollevata alle prossime elezioni, perché le misure prospettate dal governo non sembrano porre rimedio al problema.
Immagino che gli avvocati attivisti vorranno di nuovo portare la questione in tribunale.
Per ora tuttavia la sentenza mi pare una dichiarazione di impotenza da parte della magistratura nei confronti di certi abusi del potere esecutivo: “Avete violato la Costituzione, mettete presto rimedio, altrimenti… diremo ancora che avete violato la Costituzione”.
Non mi pare che la Corte Suprema stia svolgendo il suo ruolo di difensore della Costituzione.

Qui alcuni resoconti in giapponese: NHKYomiuri ShinbunTokyo ShinbunMainichi Shimbun.
Qui vari resoconti in inglese: Japan Real TimeYomiuri ShimbunMainichiAsahi Shimbun.
Qui il post di Michael Cucek; leggete anche i commenti, in particolare quelli del Prof. A.J. Sutter.

nikko

L’importanza di chiamarsi Muneo

Come è noto, nell’arcipelago giapponese i cognomi sono molti, ma quelli più diffusi sono poco più di una cinquantina. Quando invece si tratta dei nomi propri, allora s’incontra una gamma pressoché infinita di opzioni. Anche i nomi in apparenza più comuni presentano, a causa delle omofonie nella lettura degli ideogrammi, numerosissime varianti grafiche. Ad esempio, “Keiko” si può scrivere 景子,恵子,慶子,桂子,圭子,敬子,啓子…

Detto questo cambiamo per un istante scenario. Supponiamo che in Italia l’uomo politico Mario Rossi, il quale goda di una certa fama, sia condannato per un qualche reato e dichiarato ineleggibile. Il suo partito è però legato indissolubilmente alla sua figura, e un altro candidato non potrebbe sostituirlo senza una grave perdita di voti. Cosa fa allora Mario Rossi? S’ingegna: trova un altro soggetto di nome Mario e di cognome Rossi e lo mette a capo del partito, accontentandosi di gestire le cose dalle retrovie.

In Giappone però la cosa risulterebbe più complicata, perché non basta che i nomi siano omofoni: occorre anche che siano omografi. Keiko Rossi infatti può essere 景子 Rossi ma anche 敬子 Rossi…

E ben lo sa il il politico dell’Hokkaido Suzuki Muneo (鈴木 宗男). Ecco, infatti, quanto è accaduto in Giappone nelle ultime elezioni:

(http://www.japantimes.co.jp/news/2013/07/04/national/a-different-muneo-suzuki-enters-race/#.Um9WfxB6CzE).

Suzuki Muneo, ex membro del Partito Liberaldemocratico e fondatore del piccolo partito Shinto Daichi, era stato condannato in via definitiva per corruzione e finanziamento illecito nel 2010. Rilasciato nel 2011 dopo un anno di carcere, avrebbe voluto partecipare alle elezioni parlamentari, ma la condanna accessoria a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici gli precludeva l’accesso alla Dieta. Cosa ha fatto allora Suzuki, dal cognome molto comune ma dal nome un po’ insolito (una specie di Ermenegildo Rossi)? Ha trovato un candidato che non solo si chiama come lui, ma usa gli stessi kanji (宗男) per il nome. Il “brand” del politico è così salvo.

Suzuki Muneo (noto al pubblico come “Muneo”, perché Suzuki è appunto un cognome troppo comune) era stato indagato all’inizio degli anni 2000. Nel 2002, un sondaggio condotto da Kyodo News e Yahoo.jp basato sul caso Muneo aveva mostrato come il 94% degli intervistati fosse dell’idea che egli, in quanto indagato, dovesse immediatamente dimettersi, mentre il 3% riteneva più opportuno attendere almeno l’esito della fase investigativa. Il invece 2% non riteneva invece le dimissioni necessarie fino alla condanna definitiva.

Muneo ha fatto scandalo per essere stato uno dei pochissimi uomini politici giapponesi a candidarsi alle elezioni nonostante una condanna in primo grado (per corruzione), in pendenza del giudizio di appello.

Eletto nel 2005, è stato inoltre accusato di un’altra condotta illecita: aver ringraziato a mezzo internet gli abitanti del proprio collegio per l’avvenuta elezione. Secondo la legge elettorale, art. 178, è vietato mandare comunicazioni post-voto agli elettori. Ma questo è un tipico esempio di illecito senza sanzione, assai ricorrente nella legge giapponese e inoltre è prassi comune di molti politici.

Elezioni incostituzionali, quindi nulle. Da subito (più o meno)

Ieri, martedì 26 marzo 2013, l’Alta Corte di Hiroshima, sezione di Okayama, Pres. Noriyoshi Katano ( 片野 悟好) ha dichiarato incostituzionali le elezioni per la Camera bassa dello scorso dicembre nel collegio Okayama 2, e quindi nulle.
La Corte, a differenza della decisione di lunedì, non ha previsto un periodo di sospensione degli effetti della sentenza, che pertanto potrebbe diventare esecutiva in tempi brevissimi.
Appare però scontato il ricorso alla Corte Suprema da parte della commissione elettorale, il che renderà necessario attendere la decisione del massimo organo giudiziario giapponese.

Ieri sono arrivate anche altre sentenze, dalle Alte Corti di Hiroshima (sezione di Matsue), di Tokyo, di Osaka e delle sezioni di Naha e Miyazaki dell’Alta Corte di Fukuoka, oltre ad un’altra decisione dell’Alta Corte di Hiroshima.
Poco fa l’Alta Corte di Sendai, sezione di Akita, Pres. Yasuhiro Kuga ( 久我 泰博 ) ha reso l’ultima delle 16 sentenze: elezioni incostituzionali ma non nulle.
Ricapitolando: delle 16 cause presentate, 12 di esse hanno dichiarato l’incostituzionalità ma solo 2 hanno dichiarato anche la nullità, e solo quella di ieri diventerà esecutiva non appena (se) la sentenza passerà in giudicato.

Anche in questo caso è interessante notare il background del giudice Katano: superato l’esame nello stesso anno del giudice Ikadatsu (1976, nomina a giudice nel 1978 – Showa 53, la 30ma classe del fu famigerato esame di ammissione alle professioni forensi) quindi probabilmente i due si sono conosciuti personalmente nei due anni di pratica, e hanno passato una carriera simile, tra incarichi in tribunali di secondo piano, senza mai incarichi amministrativi presso la Corte Suprema né altre nomine a posizioni di prestigio. Non sembra che abbiano lavorato insieme dopo la nomina (chissà se questa sia una regola scritta, o non scritta). Prossimi alla pensione, non hanno da temere la pressione dei giudici più anziani, né trasferimenti punitivi in sedi scomode: a Okinawa, Gifu, Aomori, etc… ci sono già stati.
Provate a paragonarla con la carriera dei giudici della Corte Suprema che provengono dalla magistratura: la differenza salta subito all’occhio.

Come scrive Michael Cucek di Shisaku, con abile concisionenel post di oggi:

“La rivoluzione: un privilegio dei vecchi”.

Elezioni incostituzionali, quindi nulle. Ma non subito.

Ieri, lunedì 25 marzo 2013, l’Alta Corte di Hiroshima, Pres. Junko Ikadatsu ( 筏津 順子) ha dichiarato le elezioni per la Camera bassa dello scorso dicembre incostituzionali a causa della disparità tra la consistenza numerica degli elettori nei collegi Hiroshima 1 e Hiroshima 2, e quindi nulle.
La nullità tuttavia non è immediata, ma decorrerà dal 26 novembre. Questo il dispositivo della sentenza:

12年12月施行の衆院選広島1区・2区の選挙を無効とする。その効果は、13年11月26日の経過後に発生する。

Annulliamo le elezioni condotte nel dicembre 2012 nei collegi di Hiroshima 1 e Hiroshima 2. Gli effetti decorrono dal 26 novembre 2013.

Nel frattempo si può immaginare che vi saranno ricorsi e che insomma la cosa non finirà qui. Tralaltro, il collegio Hiroshima 1 è quello in cui è stato eletto l’attuale Ministro degli esteri, Fumio Kishida.

Si tratta della prima pronuncia che dichiara la nullità (seppure differita) del risultato elettorale. Delle 16 cause presentate per annullare i risultati delle elezioni di dicembre 2012, questa è la 8a pronuncia, e la 6a che dichiara l’incostituzionalità della situazione. Le altre, come avevamo già visto, avevano seguito la dottrina “incostituzionale ma valido” (?).

Interessante notare il background del giudice Ikadatsu: una donna, probabilmente verso la fine della sua carriera, con un passato prevalentemente in piccoli tribunali o tribunali di famiglia lontani dai gangli della politica e del potere.
Penso sia ora di riprendere in mano il Rasmusen e Ramseyer.

Elezioni incostituzionali. Embé? – II

L’Alta Corte di Tokyo, pres. Koichi Nanba ( 難波 孝一 ) e l’Alta Corte di Sapporo hanno dichiarato che le elezioni del 16 dicembre 2012, quelle che hanno consegnato la Camera dei rappresentanti al Partito Liberal-democratico di Abe, sono incostituzionali.
Il motivo è sempre lo stesso: vi sono disparità troppo grandi tra le consistenze numeriche dei collegi elettorali, e questo viola il principio di eguaglianza dei cittadini. Ad esempio, i cittadini del collegio di Tokyo 1 sono 2,34 volte più numerosi dei cittadini del collegio rurale di Kochi, nell’isola di Shikoku. I cittadini del collegio con più cittadini, quello di Chiba, 2,43 volte quelli di Kochi.
I due tribunali tuttavia, pur riconoscendo l’incostituzionalità della situazione, non si sono spinti fino a dichiarare nulli i risultati delle elezioni nei collegi in questione.
Come ricorda il blog Shisaku, la legislatura precedente aveva approvato un piano per riorganizzare i collegi, in modo che questa legislatura lo potesse approvare, e la prossima essere eletta secondo i nuovi collegi, finalmente conforme alla Costituzione.
Pertanto, le corti argomentano, le elezioni sono incostituzionali, ma poiché vi è la prospettiva di sanare questa incostituzionalità, non si è ritenuto di annullare il risultato elettorale.

Effettivamente, mi pare difficile che una semplice Alta Corte osi oltrepassare il limite ideale segnato dalla teoria della separazione dei poteri, in Giappone presa molto seriamente, forse fin troppo, e si intrometta negli affari del Parlamento dichiarando nulli i risultati, provocando così una situazione senza precedenti.
Vorrebbe dire fare proprio i piantagrane, i rompiscatole, il “chiodo che sporge”. Non una buona cosa.
Se proprio una dichiarazione di nullità dei risultati deve arrivare, essa non potrà che provenire dalla Corte Suprema.

Rimane però insoluto un punto: a che serve una Costituzione se, quando si riconosce che alcune norme sono in contrasto con essa, non se ne eliminano gli effetti?
A che servono queste due pronunce, se tanto in pratica non cambia nulla? Sono anni che i tribunali giapponesi lanciano avvertimenti, nella forma di pronunce di incostituzionalità dei collegi elettorali, ma finora nulla è cambiato. Ci sarà prima o poi un giudice che avrà un po’ più di coraggio degli altri?

In ogni caso, in seguito alle elezioni di dicembre sono state presentate 17 cause di questo tipo in diversi tribunali dell’Arcipelago.
Vedremo se qualcuna delle 15 sentenze in arrivo entro la fine del mese porterà nuovi sviluppi.

Constitution_of_Japan_original_copy

Aggiornamenti flash – Legge elettorale edition

  1. Ryokichi Kawashima, 94 anni, aveva deciso di candidarsi alle elezioni del 16 dicembre. Per presentare la candidatura come dicevamo in precedenza occorre depositare ¥3 milioni. Il sig. Kawashima tuttavia non è riuscito ad ottenere i voti necessari ad ottenere la restituzione del deposito, cioè il 10% dei voti espressi, ed ha pertanto perso la somma.
    I soldi erano quelli che aveva messo da parte per il proprio funerale.
  2. Pare che vi sia l’intenzione da parte del partito uscito vittorioso dalle scorse elezioni, il LDP, di abolire le norme anacronistiche sul divieto di fare campagna elettorale su internet.
    Ne avevamo parlato qui; una delle gemme è questa: “Ai candidati è vietato aggiornare il proprio sito internet durante la campagna elettorale”.

Due o tre curiosità sulla legge elettorale giapponese

Dopodomani, 16 dicembre 2012, in Giappone si tengono le elezioni politiche anticipate a causa dello scioglimento della camera bassa.
La legge che disciplina la campagna elettorale è la legge 100 del 1950, 公職選挙法 (legge sulle elezioni per gli uffici pubblici). La legge dispone che per la camera bassa, formata da 480 membri, 300 seggi siano assegnati in collegi uninominali e 180 attraverso un sistema proporzionale (art. 4).

La campagna elettorale.
Il principio che disciplina i modi in cui è lecito condurre la campagna elettorale è che tutto ciò che non è esplicitamente permesso deve intendersi vietato. L’uso di internet è pertanto vietato: i candidati non possono usare facebook o twitter. Internet è però ammesso per l’attività politica “di routine” che non promuove un candidato in particolare.
Naturalmente è vietato offrire denaro o favori per ottenere il voto, e l’interpretazione è assai rigida. Offrire un bicchiere di té o un biscotto, per non parlare di una cena, può portare all’arresto e al rinvio a giudizio del candidato. O al suo suicidio.
Nelle elezioni del 2009 vi sono stati 570 arresti per questo motivo.

Vi sono limiti al denaro che ogni candidato può usare: ¥19 milioni, più ¥15  per ogni abitante del collegio elettorale in cui il soggetto si candida. Questi sono limiti che si applicano ai singoli candidati, non ai partiti che sono liberi di spendere quanto vogliono.

Vi sono regole anche sui furgoncini che portano in giro i candidati: ogni candidato non può averne più di uno, non vi possono essere più di 4 persone a bordo escluso il guidatore, ed il candidato può parlare solo quando il mezzo è fermo. Per questo motivo le voci che si sentono dai furgoncini per strada sono quelle delle collaboratrici; il candidato può salutare con la manina.
Purtroppo non vi sono regole sul volume degli altoparlanti.
Infine i volantini: ogni candidato può stampare al massimo 35.000 cartoline e 70.000 volantini con il suo nome.

La durata della campagna elettorale non può superare i 12 giorni per le elezioni della camera bassa, 17 giorni per le elezioni amministrative delle province ( 県 ) o della camera alta, o altri periodi tra i 14 ed i 5 giorni nel caso di altri enti locali (artt. 31-34).
Diverse categorie di dipendenti pubblici non possono partecipare alla campagna elettorale (artt. 135 e ss).

Un’altra particolarità è il sistema del deposito: per candidarsi in un collegio uninominale ogni candidato deve depositare presso l’Erario ¥3 milioni (circa 30.000 euro), nei collegi proporzionali ¥6 milioni (artt. 92 e ss).
Solo il candidato vincitore potrà ottenere la restituzione dell’intera somma. Gli sconfitti potranno ottenere solo una parte o niente, secondo una formula che si trova agli artt. 93 e 94 della legge, o a pag. 20 di questo paper.

Oltre alla legge, linkata in apertura, alcune delle informazioni di cui sopra provengono da qui, altre da questo paper.
Qui un ottimo articolo sul sistema del deposito elettorale.

Il tutto comunque è a rischio incostituzionalità, per le ragioni spiegate qualche tempo fa e comparse di nuovo recentemente dal Wall Street Journal.

Elezioni incostituzionali. Embé?

La Corte Suprema del Giappone riunita in seduta plenaria, ha dichiarato il 17 ottobre che le elezioni del 2010 per la Camera Alta ( 参議院 ) versano in uno stato di incostituzionalità.

Ragione dell’incostituzionalità è la disparità nella popolazione che forma i collegi elettorali. Collegi di zone molto popolate hanno una popolazione molto maggiore di collegi rurali. Da questo ne consegue che il voto di un abitante delle metropoli ha un valore assai minore di quello di un abitante delle campagne.
Ad esempio: nelle elezioni in questione un membro della Camera Alta eletto nel distretto di Kanagawa rappresentava in media 1,21 milioni di elettori, mentre il membro proveniente da Tottori appena 240.000.
Gli articoli in questione sono l’art. 14 Cost., che dispone che tutti i cittadini sono uguali di fronte (letteralmente: “sotto”) la legge, e l’art. 43 Cost., che dispone che i membri del Parlamento rappresentino tutti i cittadini giapponesi.
Nel 2011 la Corte Suprema aveva reso un giudizio analogo in merito alle elezioni del 2009 per la Camera bassa. Questa è la prima volta in cui entrambe le camere del Parlamento giapponese sono dichiarate contemporaneamente in uno stato di incostituzionalità.

La Corte Suprema non si è tuttavia  spinta fino a dichiarare incostituzionale la legge elettorale e dichiarare invalide le elezioni, come chiedevano gli attori.
Alcuni commenti dichiarano che si tratterebbe di un ultimatum al Parlamento e al governo, ma questo genere di ultimatum si susseguono da anni senza che la Corte Suprema abbia il coraggio di dichiarare incostituzionali i risultati delle elezioni. La prima pronuncia di incostituzionalità per la Camera alta risale al 1996, relativamente alle elezioni del 1992.
Il Parlamento non sembra prendere sul serio la pronuncia: l’Asahi riporta che le modifiche allo studio hanno l’obiettivo di riportare la differenza tra il valore dei voti non ad un livello vicino all’eguaglianza 1:1, ma su rapporti 4:1 o 5:1, che dovrebbero essere ritenuti non in violazione della Costituzione.

Il prof. Tokujin Matsudaira presenta un’analisi su chi sono stati gli attori in questa causa, dei motivi che li hanno spinti a rivolgersi ai tribunali, e del perché le risposte dei giudici siano sempre più favorevoli a queste domande. Tra gli attori figurano avvocati di successo ed il noto docente di uno dei maggiori centri privati di preparazione all’esame per le professioni forensi, Makoto Ito. Il loro atteggiamento di fondo è caratterizzato da un’attenzione ai principi dello stato di diritto liberale, con la tendenza a sfruttare gli strumenti della legge per modificare la società. La Corte in questo caso non ha potuto ignorare le loro richieste, o forse non ha voluto, dal momento che i giudici più giovani condividono questa mentalità.

Qui la sentenza. Opinione della corte nelle prime 15 pagine, seguono 60 pagine di opinioni concorrenti (giudici Sakurai, Kanetsuki, Chiba, Takeuchi) e dissenzienti (i giudici Tahara, Sudo, Ohashi, tutti e tre provenienti dall’avvocatura, guarda caso).
Il giudice Sudo ha scritto:

多数意見の結論とは異なり、本件定数配分規定は憲法に違反し,したがって本件選挙も違法であるとの見解に至った [ … ]  当審が遅くとも平成18年には現行の選挙制度の枠組みの見直しを促したといえるメッセージを示したにもかかわらず,今日に至るもそれが確としてなされ ないままで投票価値の著しい不平等状態が維持されているという点において,国会 の裁量権の限界を超えているということである。
“A differenza delle conclusioni dell’opinione di maggioranza, sono giunto alla convinzione che le regole sulla ripartizione numerica di questo caso violano la Costituzione e pertanto anche le elezioni in questione sono incostituzionali. (…) questa Corte, al più tardi già nel 2006 aveva sollecitato una revisione del quadro generale del sistema elettorale, ma nonostante ciò non è stato fatto nulla ad oggi, e si è perpetuata una estrema differenza nel valore del voto, e questo ha superato i limiti della discrezionalità attribuiti al Parlamento”.

La Corte Suprema del Giappone