Andrea Ortolani

Tag: suicidi (Pagina 1 di 2)

I giapponesi che fanno causa (XXXI): suicidi e molestie, cancro a Fukushima, libertà di stampa

73. Suicidio per molestie?

Una dipendente della catena di family restaurant italianeggianti “Saizeriya” si suicida.
I familiari citano in giudizio il manager del ristorante dove lavorava la donna, sostenendo che il suicidio è dovuto alle molestie sessuali da lei subite nei 9 mesi precedenti il suicidio.
La richiesta è di ¥98 milioni, circa €725.000 al cambio attuale.

74. Cancro a Fukushima

Un uomo che ha lavorato alla messa in sicurezza della centrale nucleare di Fukushima-1 dopo l’incidente si è ammalato di cancro in carie parti del corpo.
L’uomo ha citato in giudizio presso il Tribunale di Sapporo il gestore della società, TEPCO, sostenendo che l’insorgenza del tumore è dovuta all’esposizione alle radiazioni avvenuta durante la sua attività lavorativa, e chiedendo 65 milioni (€480.000) come risarcimento del danno.

75. Kisha kurabu e libertà di stampa

Nel settembre 2012 la giornalista Hajime Shiraishi ha citato in giudizio il governo e il kisha kurabu del Parlamento giapponese (sui kisha kurabu, o “circoli dei giornalisti”, qui o qui) in merito alla gestione dell’edificio dove ha sede il club, vista da Shiraishi come un grave impedimento alla libertà di stampa.
L’Alta Corte di Tokyo ha giudicato inammissibile la domanda della giornalista.
La questione ora pende presso la Corte Suprema.

(puntata precedente)

Aggiornamenti flash – Revisione costituzionale, diritto all’oblio e suicidi a Fukushima

  1. Lawrence Repeta sul processo di revisione costituzionale in atto in Giappone.
    Un ottimo resoconto di quanto sta succedendo a Tokyo: un attacco sfacciato da parte di Abe alla Costituzione giapponese e allo stato di diritto.
  2. Anche in Giappone si presentano a Google richieste di rimuovere risultati di ricerche. Vittoriose, almeno in primo grado.
    Lo ammetto: non ho avuto tempo di studiare come si deve la questione, ma a prima vista questi casi, il cd. “diritto all’oblio”, e tutti i casi in cui un’autorità cerca di indirizzare l’informazione che si trova libera in rete, mi ricordano chiaramente il Ministero della Verità di 1984 -e di sicuro non sarò il primo, ci vuole proprio poco ad associare le due cose.
  3. Kiichi Isozaki era un agricoltore che lavorava nei pressi della centrale nucleare di Fukushima-1. In seguito all’evacuazione, viene colto dalla depressione e si toglie la vita.
    La moglie chiede un risarcimento e va fino in tribunale per ottenerlo.
    Nei giorni scorsi il Tribunale di Fukushima, pres. Naoyuki Shiomi ( 潮見 直之 ) ha riconosciuto il nesso di causalità (interessante: al 60%, visto che l’uomo aveva anche altre patologie tra cui il diabete) tra l’incidente ed il suicidio, ed ha accordato alla vedova un risarcimento di ¥27 M (circa €200.000). La richiesta era di circa 3 volte tanto.
    Non è il primo di questi casi.

I giapponesi che fanno causa (XXIII)

49. Scambio di culle

Tipico episodio di scambio di culle: il figlio di una famiglia ricca finisce in una famiglia povera, il figlio dei poveri finisce dai ricchi.
Sessanta (60) anni dopo, l’uomo cresciuto nella famiglia povera riesce finalmente a provare che c’è stato un errore all’ospedale. Cita il gestore dell’ospedale, ed il Tribunale di Tokyo, pres. Masatoshi Miyasaka ( 宮坂 昌利 ) gli accorda ¥32M di risarcimento per essere stato privato della possibilità di condurre una vita agiata  (ad es., non ha potuto frequentare l’università ed ora fa il camionista) e per non aver potuto incontrare per 60 anni i suoi veri genitori e fratelli. Ai genitori il tribunale ha riconosciuto un risarcimento di ¥6M, ma poiché sono morti entrambi, la somma andrà ai discendenti. La richiesta presentata dagli attori era di ¥250M (€1,8 milioni circa): la sentenza accorda un risarcimento di ¥32M (€225.000 circa).

50. Minamata, ancora.

Ventidue vittime della malattia di Minamata, non certificate ufficialmente secondo le procedure previste dalla legislazione speciale, hanno presentato domanda di risarcimento al Tribunale di Niigata.

51. Suicidi e morti da superlavoro

I genitori di una ragazza 26enne suicidatasi due mesi dopo essere stata assunta dalla catena di izakaya Watami, e aver totalizzato 141 ore di straordinario al mese (ben oltre il limite di 80 posto dalla legge) hanno citato in giudizio il datore di lavoro, visto che la conciliazione non aveva dato esiti.
La vedova di un altro lavoratore morto per superlavoro ha fatto causa e vinto un risarcimento. Ha proposto una legge per prevenire il ripetersi di questo tipo di morti sul lavoro, ma evidentemente LDP e alleati erano troppo impegnati ad approvare la nuova legge sul segreto di Stato.

(puntata precedente)

Di morte e affitto

Nel mercato immobiliare giapponese la morte di chi occupa una casa, specie quella avvenuta in conseguenza di suicidio, è un fatto molto rilevante. I proprietari di abitazioni e gli agenti immobiliari sono infatti tenuti a fornire informazioni adeguate su eventuali decessi che hanno avuto luogo nell’unità in questione, pena l’annullabilità del contratto o addirittura un risarcimento per responsabilità civile.
È quanto è avvenuto ad Amagasaki, nello Hyogo-ken: un avvocato acquista all’asta un appartamento nella città di Amagasaki, appartemento nel quale una donna, tempo prima, si era tolta la vita. Successivamente il proprietario concede l’immobile in locazione a un inquilino, senza renderlo però edotto della circostanza. Una volta trasferito, l’inquilino apprende dai vicini la triste storia del suidicio dell’abitante precedente, e decide di lasciare l’abitazione e annullare il contratto.
La questione, sottoposta all’attenzione del Tribunale di Kobe, sezione di Amasagaki, ha visto la soccombenza del proprietario. Nonostante quest’ultimo abbia dichiarato che né durante né dopo la procedura per l’aggiudicazione dell’immobile egli ha avuto notizia del suicidio di una donna in quella casa, il giudice ha ritenuto che il proprietario “non poteva non sapere”. Infatti, quantomeno durante i lavori di restauro dell’abitazione, egli sarebbe dovuto venire a contatto coi vicini, i quali non hanno fatto mistero della circostanza all’inquilino non appena lo hanno incontrato. Il giudice ha dunque dichiarato che nella stanza vi era un difetto “psicologico”(心理的), cioè vi era avvenuto un fatto che avrebbe potuto provocare un senso di disgusto (嫌悪) nell’inquilino. Inoltre, dato che di tale fatto erano a conoscenza i vicini, sia proprietario sia l’agente che ha seguito la trattativa non potevano non saperlo.
Il proprietario è stato dunque condannato al pagamento di 1.040.000 yen e ha già annunciato la sua intenzione di andare in appello.

Questa decisione si inserisce nella più ampia tematica della rilevanza della morte del precedente inquilino nel diritto delle locazioni. Non solo il suicidio, o la morte violenta, rendono “difettoso” un appartamento. Anche una pacifica morte nel sonno di un anziano deve essere dichiarata, a rischio dell’annullabilità del contratto. La questione non è dunque del tutto sovrapponibile a quella delle psychologically impacted houses dell’esperienza americana, dove (salvo casi eccezionali) è necessario qualche circostanza sinistra o cruenta per giustificare un difetto dell’immobile.
La fattispecie del suicidio tramite defenestrazione ha fatto sorgere un dibatitto su quale debba essere identificato come luogo del decesso ai fini delle informazioni da dare all’inquilino: l’opinione prevalente è che sia esterno, e dunque non vi è dovere di dichiarazione.

In Giappone esistono agenzie immobiliari specializzate nel gestire unità dove sia avvenuto un decesso: il prezzo spesso è meno del 50% di quello di mercato. La permanenza di un inquilino per un intero periodo contrattuale è ritenuto sufficiente a eliminare il vizio, e l’abitazione può tornare sul mercato a prezzo pieno.
Superstizione? Portato della tradizione buddista? Prima di bollare come “strani” i giapponesi, pensiamo ai vari casi negli USA dove persone hanno chiesto la risoluzione del contratto perché un precedente inquilino era affetto da HIV: la base scientifica è più o meno la stessa…
Per una splendida panoramica comparata fra Italia e USA si consiglia R. Caterina, Storie di Locazioni e di fantasmi, Rubbettino, 2011.

I giapponesi che fanno causa (XVII)

36. Risarcimento per suicidio

Un produttore di latte della provincia di Fukushima vede i suoi affari andare a rotoli in seguito al disastro nucleare: nessuno vuole più i prodotti della zona.
L’uomo si suicida nel capannone che aveva appena finito di costruire.
La moglie, filippina e madre di due figli, cita in giudizio TEPCO per 126 milioni di yen.
Nel frattempo, TEPCO ha ammesso la propria responsabilitàha deciso di risarcire i familiari di un altro agricoltore della zona, suicidatosi per gli stessi motivi.
Chissà se anche il caso della signora filippina si concluderà fuori dalle aule giudiziarie.

37. Contrasti giurisprudenziali in materia di autocompletamento di Google

Il mese scorso il Tribunale di Tokyo, in una causa contro Google in tema di completamento automatico, aveva reso giudizio a favore dell’attore. Si era ritenuto cioè che i risultati -errati- che associavano il nome dell’attore a un profilo criminale fossero lesivi del suo onore.
Nei giorni scorsi invece lo stesso Tribunale ha reso un giudizio a favore di Google. Niente risarcimento di ¥2M all’attore, ha deciso il giudice Tomonari Honda (本田 知成 che avevamo già incontrato qui).
Vedremo cosa dirà l’Alta Corte di Tokyo in sede di appello.

38. Avete mandato il sacerdote sbagliato

Una famiglia chiede, con largo anticipo, a un’impresa di pompe funebri, che il funerale del proprio famigliare, affetto da malattia incurabile, sia celebrato da un sacerdote del tempio 浄土真宗本願寺派 (Jodo Shinhsu Honganji). L’impresa, quando quattro mesi dopo il soggetto viene a mancare, manda un sacerdote da un altro tempio.
La famiglia presenta domanda al Tribunale di Fukuoka di ¥3,55 M, come risarcimento dei danni morali. (non ho trovato la sentenza, e prima che escano commenti sulle riviste scientifiche passerà del tempo, ma è importante notare che la domanda non è per inadempimento contrattuale ma per danni).

39. Risarcimenti per morte da evacuazione nucleare

Si sapeva che tra le vittime del disastro di Fukushima vi sono  persone anziane e/o ricoverate in ospedali, che non hanno retto lo stress, le difficoltà, la carenza di assistenza collegata all’evacuazione.
I famigliari di alcune di esse hanno citato in giudizio TEPCO.

(puntata precedente)

Bullismo – Ijime

Nell’ottobre 2011 un ragazzino di 13 anni si getta dal balcone di casa sua, al 14 piano di un condominio a Otsu, nel Giappone centrale.
Si sospetta che il salto nel vuoto sia determinato da bullismo, cioè dalle ripetute angherie che il ragazzino subiva dai suoi compagni di scuola. La scuola, 6 giorni dopo la morte del ragazzo, fa circolare un questionario tra gli studenti, ma in un primo momento lo mantiene segreto.

I genitori del ragazzo tra ottobre e dicembre 2011 chiedono 3 volte alla polizia di iniziare le indagini, ma la polizia non ritiene sia il caso.
I genitori, che nel frattempo avevano letto le risposte al questionario dietro promessa di riservatezza, avviano a febbraio una causa civile contro la scuola ed i tre compagni identificati come i principali molestatori del figlio. Chiedono 77 milioni di yen (€ 780.000) come danni. La scuola dice che resisterà in Tribunale.

Ai primi di luglio, la vicenda finisce sui giornali. Si scopre che tra le varie angherie, i compagni di scuola giunsero persino a far “provare” il suicidio al ragazzo. Si scopre che la cosa si sapeva, anche tra il corpo insegnanti, ma nessuno la prese sul serio o fece nulla per impedire la tragedia.
La polizia riceve numerose telefonate e messaggi di sdegno per il comportamento nella vicenda. L’11 luglio, 9 mesi dopo la morte del ragazzo, gli investigatori perquisiscono la scuola. Si interrogano ragazzi e studenti.

La scuola dapprima nega, poi il preside si scusa, infine riconosce le proprie colpe.
Alla seconda udienza del processo civile per il risarcimento dei danni, la città di Otsu ha ammesso che è stato il bullismo ad aver causato la morte del ragazzo e si è detta disposta a giungere a una conciliazione amichevole. E un ragazzo ha aggredito a martellate in testa il presidente della Commissione per l’educazione coinvolto nella vicenda, per aver secondo l’aggressore cercato di coprire la verità.
Per un paio di settimane si parla molto di bullismo, in giapponese いじめ (ijime). Il Ministero dell’Istruzione coglie l’occasione per studiare nuovamente il problema e presentare linee guida per affrontarlo.

Nel frattempo a Osaka 3 ragazzini di 15 anni sono stati arrestati perché tormentavano un loro compagno. Per fortuna sono stati presi prima che la situazione arrivasse a un punto irreversibile.
Nel frattempo a Sendai i dirigenti di un istituto avevano chiesto a un ragazzino, che era stato tormentato con sigarette accese, di cui portava le bruciature sulle braccia, di non presentarsi più a scuola perché le bruciature “turbavano” i compagni. Eccole qui:

I genitori del ragazzino hanno presentato querela contro tre dei presunti responsabili degli atti di bullismo.
Vi sono altre storie in questo articolo del Japan Times. O meglio, ve ne erano qualche settimana fa, perché il problema non è più sulle prime pagine.

Anche se la situazione non è certo cambiata da un giorno all’altro: il 5 settembre un altro ragazzino si è buttato nel vuoto dal tetto del suo palazzo, a Sapporo. Ha lasciato un messaggio: “Sono stato tormentato e voglio morire”.  La scuola ha fatto circolare un questionario tra i suoi 600 compagni di scuola e sostiene che non si possa confermare che si tratti di un episodio di bullismo.

Il 5 settembre le linee guida sono state pubblicate. Esse prevedono un ruolo più importante dello Stato nella prevenzione del bullismo, attraverso nuove strutture che affiancheranno i Consigli dell’Educazione e che saranno composte da avvocati, psicologi e poliziotti. I fondi destinati a questo programma di prevenzione sono di 7,3 miliardi di yen, circa 1,6 volte la somma stanziata l’anno scorso.

I casi riportati di bullismo nelle scuole sono stati più di 70.000 nel 2011, ed hanno coinvolto il 38% delle scuole.
I suicidi tra studenti nel 2011 sono in crescita, e sono stati 200 secondo una ricerca del Ministero dell’Istruzione, 353 secondo la polizia. La discrepanza è dovuta al fatto che il rapporto del Ministero non include casi che le famiglie chiedono non siano riportati e casi sui quali la polizia non fornisce dettagli.

I giapponesi che fanno causa (VI)

Sesta puntata della serie dedicata alla litigiosità nell’Arcipelago.

13. Prestiti universitari sub-prime, o come imparare a indebitarsi

La JASSO è nota agli studenti, giapponesi e non, perché eroga le 奨学金 shogakukin. Come messo a fuoco in questo articolo, shogakukin si traduce in inglese “scholarship”, in italiano “borsa di studio”, ma se per gli studenti non giapponesi invitati a studiare sull’Arcipelago la shogakukin è una somma destinata a sostenere le spese dello studente, e non sarà restituita, per gli studenti giapponesi essa è una somma da restituire, cioè un prestito, concesso senza interessi ai meritevoli e disagiati, agli altri al tasso del 3%.*

Nel 2011 sono stati 1.270.000 gli studenti giapponesi che hanno ottenuto una shogakukin/prestito. Il problema è che, con il deteriorarsi del quadro economico non tutti gli (ex)studenti riescono a restituire il denaro preso in prestito.
E allora JASSO li cita in giudizio: nel 2006 JASSO aveva citato 547 studenti, nel 2011 sono stati 4.832 gli studenti citati.

* Da qui la serie di incomprensioni che affliggono gli studenti stranieri in Giappone che si presentano, cercano casa etc… Quando richiesti dei propri mezzi di sussistenza, di solito si risponde “shogakukin“, alché i giapponesi pensano che sia un prestito, pensano “questo dovrà restituire questi soldi prima o poi = questo ha finanze instabili o se ne torna nel suo Paese senza restituire i soldi”. Consiglio: usare kyuryo, “stipendio”, che è meglio.

14. La Corte Suprema su un suicidio per pawahara

Se il titolo vi lascia spaesati, cosa sia il pawahara è spiegato qui.

Il 22 febbraio il Secondo Collegio ristretto della Corte Suprema ha deciso una controversia promossa dalla vedova di un uomo che si tolse la vita nel maggio 2002 a causa di mobbing sul lavoro.
Il problema in questi casi è se inquadrare la vicenda come morte sul lavoro, anche se l’atto non sia prima facie collegabile al posto di lavoro. Non è detto infatti che il suicidio avvenga in orario di ufficio, anche se le motivazioni sono da ricercare nella situazione lavorativa. Si può ipotizzare anche il caso contrario: dubito che un impiegato che si togliesse la vita in orario di ufficio per una delusione amorosa potrebbe veder riconosciuta la sua morte come morte sul lavoro.
La qualificazione rileva ai fini del risarcimento ai familiari ed eredi della vittima: in caso di incidente sul lavoro ad essi spetta un risarcimento.
L’Alta Corte di Nagoya aveva riconosciuto la morte dell’uomo come morte sul lavoro, per le pressioni subite dall’uomo, che era caduto in depressione. L’ente che amministra i risarcimenti non era d’accordo e presentò ricorso alla Corte Suprema, che ha rigettato nel merito il ricorso e confermato la decisione dell’Alta corte di Nagoya.
Stranamente, la sentenza non è ancora sul sito della Corte Suprema.

Aggiornamenti flash

  1. Impiccare una persona è costituzionale. I 3 giudici togati del Tribunale di Osaka hanno deciso così.
    Il Tribunale perciò, in composizione collegiale con la partecipazione dei 6 “saiban’in“, cioè i giudici popolari, ha condannato a morte Sunao Takami. Il processo è durato 60 giorni ed è stato il processo con saiban’in più lungo da quando l’istituto è entrato in vigore, nel maggio 2009.
  2. L’Ufficio sugli standard di lavoro di Shinagawa ha stabilito che il suicidio di un dipendente di Kirin Beverage è riconducibile alle condizioni di lavoro ed è quindi oggetto di indennizzo come morte sul lavoro. Il lavoratore, il cui nome non è stato reso pubblico, si occupava di caricare gli ubiqui distributori automatici di lattine e bottigliette. Pare che lavorasse fino a 15 ore, dormendo appena 3-4 ore al giorno. Si è ritenuto che questo abbia intaccato il suo equilibrio psicologico, portandolo al suicidio.
  3. Toshiba ha citato in giudizio il governo giapponese in merito a una commessa riguardante aerei militari F-15. Toshiba ed il governo avevano concluso un contratto per 12,3 miliardi di yen riguardante la modifica di un sistema di ripresa di immagini per il caccia. A febbraio il governo, ritenendo Toshiba inadempiente nello sviluppo del sistema, ha notificato a Toshiba la risoluzione del contratto chiedendo 1,2 G jpy di penale ( 違約金 ). Toshiba ha contrattaccato affermando che le specifiche di cui si parla non erano riportate nel contratto, e ha quindi citato il governo dinanzi al Tribunale di Tokyo chiedendo 9,3 G jpy come corrispettivo del lavoro svolto.
    La prima udienza è programmata per il 25 novembre.

Ammazzarsi di lavoro

Hiroaki Kitaguchi (? 北口裕章 ), programmatore, era stato assunto nell’ottobre 2001 da una società di software di Kyoto. All’alba del 3 giugno 2004 2002 (confusione con Heisei 14, grazie Gianluca), a 27 anni, prima di un appuntamento con un cliente, si suicidò buttandosi dal quinto piano di un edificio di Toyonaka.
Sembrava che nel periodo precedente il suicidio, Hiroaki stesse accusando una forte pressione psicologica a causa del lavoro, e avesse mandato messaggi a colleghi e amici dicendo che la situazione al lavoro era durissima.

Il padre Hisao (? 久雄 ) nel luglio 2003 aveva pertanto presentato all’ufficio competente del Ministero del lavoro (la Sovrintendenza per gli standard di lavoro, 労働基準監督署 ) una richiesta di indennizzo chiedendo che la morte del figlio fosse riconosciuta come incidente sul lavoro. L’indennizzo non fu accordato.
Cristallizzatasi la situazione dal punto di vista dell’amministrazione, nel settembre 2008 il sig. Kitaguchi si rivolse alla magistratura, e precisamente al Tribunale distrettuale di Osaka, affinché la morte del figlio fosse riconosciuta come suicidio da eccessivo lavoro ( 過労自殺 ).

Gli attori sostennero che Hiroaki fu abbandonato a se stesso e non fu guidato nel lavoro da colleghi e superiori.  Il collega che prese il posto di Hiroaki, testimoniò (coraggiosamente) che “era una quantità di lavoro, e di un livello di complessità che una persona appena entrata in azienda non avrebbe assolutamente potuto portare a termine”.

La corte, Pres. Tetsu Nakamura ( ? 中村哲 , il nome proprio potrebbe non essere Tetsu ma Akira, o Tooru, o Satoru, o Masaru, o Yutaka, o Satoshi, o Tetsushi, o Hiroshi) ha ritenuto che “considerando le capacità dell’individuo in questione, non si trattava ci compiti particolarmente difficili”, e che sia “difficile dire che vi siano stati dei problemi nelle procedure di guida e sostegno dell’azienda”.
Il Tribunale distrettuale di Osaka ha quindi rigettato la domanda del sig. Kitaguchi.

Il sig. Kitaguchi ha commentato: “Ho perso, ma non posso abbandonare qui”. Non è chiaro se ci sarà appello; oltre al lavoro il sig. Kitaguchi porta avanti attività di volontariato presso studenti universitari di informatica, mettendoli in guardia dai pericoli del lavoro eccessivo.

Aggiornamenti flash

  1. Il Tribunale distrettuale di Shizuoka condanna lo Stato a versare 80 milioni di yen ai famigliari di un militare delle Forze di autodifesa suicidatosi in seguito ad un episodio di nonnismo.
  2. Altre due pronunce della Corte Suprema, 1 Collegio ristretto Pres. Yu Shiraki, in materia di costituzionalità delle istruzioni dei presidi sulla condotta da tenere durante l’esecuzione dell’inno nazionale. Dissenting opinion del giudice Koji Miyakawa.
  3. Pronuncia della Corte Suprema in tema di libertà di espressione.
« Articoli meno recenti