I giapponesi che fanno causa (XXIII)

49. Scambio di culle

Tipico episodio di scambio di culle: il figlio di una famiglia ricca finisce in una famiglia povera, il figlio dei poveri finisce dai ricchi.
Sessanta (60) anni dopo, l’uomo cresciuto nella famiglia povera riesce finalmente a provare che c’è stato un errore all’ospedale. Cita il gestore dell’ospedale, ed il Tribunale di Tokyo, pres. Masatoshi Miyasaka ( 宮坂 昌利 ) gli accorda ¥32M di risarcimento per essere stato privato della possibilità di condurre una vita agiata  (ad es., non ha potuto frequentare l’università ed ora fa il camionista) e per non aver potuto incontrare per 60 anni i suoi veri genitori e fratelli. Ai genitori il tribunale ha riconosciuto un risarcimento di ¥6M, ma poiché sono morti entrambi, la somma andrà ai discendenti. La richiesta presentata dagli attori era di ¥250M (€1,8 milioni circa): la sentenza accorda un risarcimento di ¥32M (€225.000 circa).

50. Minamata, ancora.

Ventidue vittime della malattia di Minamata, non certificate ufficialmente secondo le procedure previste dalla legislazione speciale, hanno presentato domanda di risarcimento al Tribunale di Niigata.

51. Suicidi e morti da superlavoro

I genitori di una ragazza 26enne suicidatasi due mesi dopo essere stata assunta dalla catena di izakaya Watami, e aver totalizzato 141 ore di straordinario al mese (ben oltre il limite di 80 posto dalla legge) hanno citato in giudizio il datore di lavoro, visto che la conciliazione non aveva dato esiti.
La vedova di un altro lavoratore morto per superlavoro ha fatto causa e vinto un risarcimento. Ha proposto una legge per prevenire il ripetersi di questo tipo di morti sul lavoro, ma evidentemente LDP e alleati erano troppo impegnati ad approvare la nuova legge sul segreto di Stato.

(puntata precedente)

Aggiornamenti flash

  1. Polizia giapponese, o dell’inettitudine (selettiva). Perché quando ci sono le AKB48 di mezzo, c’è rigore e professionalità. (background sul triste caso di stalking)
  2. Talvolta i giudici popolari irrogano pene più severe di quanto richiederebbero gli standard ed i precedenti. Nel caso dell’omicidio di una studentessa nel 2009, l’Alta Corte di Tokyo corregge la sentenza, e trasforma la pena, da pena di morte in ergastolo.
  3. Morti da superlavoro: la Corte Suprema rigetta il ricorso che chiedeva di pubblicare i nomi delle società i cui dipendenti sono morti per patologie legate all’eccessivo carico di lavoro.
  4. Pena di morte: un’altra persona è stata, forse, impiccata per errore nel 2008, rivelano nuove analisi del DNA: il caso di Michitoshi Kuma.
  5. Il Prof. Colin P.A. Jones avrà una colonna mensile sul Japan Times. Qui il primo articolo: “Il meraviglioso mondo del diritto giapponese: benvenuti in un mondo di scoperte senza fine“.

Ammazzarsi di lavoro

Hiroaki Kitaguchi (? 北口裕章 ), programmatore, era stato assunto nell’ottobre 2001 da una società di software di Kyoto. All’alba del 3 giugno 2004 2002 (confusione con Heisei 14, grazie Gianluca), a 27 anni, prima di un appuntamento con un cliente, si suicidò buttandosi dal quinto piano di un edificio di Toyonaka.
Sembrava che nel periodo precedente il suicidio, Hiroaki stesse accusando una forte pressione psicologica a causa del lavoro, e avesse mandato messaggi a colleghi e amici dicendo che la situazione al lavoro era durissima.

Il padre Hisao (? 久雄 ) nel luglio 2003 aveva pertanto presentato all’ufficio competente del Ministero del lavoro (la Sovrintendenza per gli standard di lavoro, 労働基準監督署 ) una richiesta di indennizzo chiedendo che la morte del figlio fosse riconosciuta come incidente sul lavoro. L’indennizzo non fu accordato.
Cristallizzatasi la situazione dal punto di vista dell’amministrazione, nel settembre 2008 il sig. Kitaguchi si rivolse alla magistratura, e precisamente al Tribunale distrettuale di Osaka, affinché la morte del figlio fosse riconosciuta come suicidio da eccessivo lavoro ( 過労自殺 ).

Gli attori sostennero che Hiroaki fu abbandonato a se stesso e non fu guidato nel lavoro da colleghi e superiori.  Il collega che prese il posto di Hiroaki, testimoniò (coraggiosamente) che “era una quantità di lavoro, e di un livello di complessità che una persona appena entrata in azienda non avrebbe assolutamente potuto portare a termine”.

La corte, Pres. Tetsu Nakamura ( ? 中村哲 , il nome proprio potrebbe non essere Tetsu ma Akira, o Tooru, o Satoru, o Masaru, o Yutaka, o Satoshi, o Tetsushi, o Hiroshi) ha ritenuto che “considerando le capacità dell’individuo in questione, non si trattava ci compiti particolarmente difficili”, e che sia “difficile dire che vi siano stati dei problemi nelle procedure di guida e sostegno dell’azienda”.
Il Tribunale distrettuale di Osaka ha quindi rigettato la domanda del sig. Kitaguchi.

Il sig. Kitaguchi ha commentato: “Ho perso, ma non posso abbandonare qui”. Non è chiaro se ci sarà appello; oltre al lavoro il sig. Kitaguchi porta avanti attività di volontariato presso studenti universitari di informatica, mettendoli in guardia dai pericoli del lavoro eccessivo.