Andrea Ortolani

Tag: Yuji Saruya

Sì, tutti in piedi per l’inno – La sentenza

La Corte Suprema ha pubblicato sul proprio sito ufficiale la sentenza del caso Saruya.
32 pagine, la si può trovare a questo indirizzo.

Vale la pena citare la considerazione, molto giapponese, che chiude le motivazioni:

(…) L’atteggiamento nei confronti della bandiera nazionale e dell’inno nazionale è problema di un’area delicata, collegata ai pensieri e alle convinzioni dell’individuo, e bandiera e inno rispondono al loro significato naturale in quanto il popolo li rispetti e ami dal cuore. Pertanto, vorremmo aggiungere che, come soluzione definitiva di questo problema, la cosa più importante di tutte è creare un ambiente in cui la bandiera nazionale e l’inno nazionale siano oggetto di rispetto e affezione non forzata, ma spontanea“.

「(…)国旗及び国歌に対する姿勢は,個々人の思想信条に関連する微妙な領域の問題であって,国民が心から敬愛するものであってこそ,国旗及び国歌がその本来の意義に沿うものとなるのである。そうすると,この問題についての最終解決としては,国旗及び国歌が,強制的にではなく,自発的な敬愛の対象となるような環境を整えることが何よりも重要であるということを付言しておきたい。」

Sì, tutti in piedi per l’inno

Così ha sentenziato lunedì 30 maggio la Corte Suprema nel primo caso arrivato al vertice del sistema giudiziario giapponese riguardante la costituzionalità dell’obbligo per i docenti di rivolgersi alla bandiera e cantare l’inno nazionale durante le cerimonie scolastiche.

Le vicende riguardavano il caso di Yuji Saruya ( 申谷雄二 ),  insegnante di un liceo di Tokyo che nel 2004 si era rifiutato di alzarsi durante l’esecuzione dell’inno nazionale. Era stato richiamato formalmente, e non confermato alla scadenza del contratto nel 2007.
L’insegnante aveva dunque presentato un’azione di risarcimento contro l’amministrazione comunale.

In primo grado (gennaio 2009) il Tribunale distrettuale di Tokyo aveva affermato che l’ordine del preside era costituzionale, ma allo stesso tempo aveva concesso al sig. Saruya un risarcimento di circa 2,1 milioni di jpy poiché negli anni successivi si era conformato alle direttive scolastiche.
Nella sentenza di appello (ottobre 2009) l’Alta Corte di Tokyo aveva confermato la costituzionalità dell’obbligo, sostenendo che tali scelte rientrassero nella sfera di discrezionalità dell’amministrazione. Inoltre, la Corte aveva revocato l’ordine di risarcimento.

Da qui il ricorso alla Corte Suprema, lamentando la violazione dell’art. 19 della Costituzione, che protegge la libertà di pensiero e coscienza.
La Corte sostiene che, anche se la libertà di pensiero può essere indirettamente violata da tali ordini, il livello della violazione è accettabile, considerata la ragionevolezza di tali misure.

Il caso è stato deciso all’unanimità dal Secondo Collegio ristretto, Pres. Masahito Sudo ( 須藤正彦 ).
Si può facilmente immaginare che esso avrà un’influenza importante sugli altri 31 casi analoghi pendenti in tutto il Giappone che vedono coinvolti circa 960 insegnanti o sul dibattito politico cui si era accennato pochi giorni fa.