Bullismo – Ijime

Nell’ottobre 2011 un ragazzino di 13 anni si getta dal balcone di casa sua, al 14 piano di un condominio a Otsu, nel Giappone centrale.
Si sospetta che il salto nel vuoto sia determinato da bullismo, cioè dalle ripetute angherie che il ragazzino subiva dai suoi compagni di scuola. La scuola, 6 giorni dopo la morte del ragazzo, fa circolare un questionario tra gli studenti, ma in un primo momento lo mantiene segreto.

I genitori del ragazzo tra ottobre e dicembre 2011 chiedono 3 volte alla polizia di iniziare le indagini, ma la polizia non ritiene sia il caso.
I genitori, che nel frattempo avevano letto le risposte al questionario dietro promessa di riservatezza, avviano a febbraio una causa civile contro la scuola ed i tre compagni identificati come i principali molestatori del figlio. Chiedono 77 milioni di yen (€ 780.000) come danni. La scuola dice che resisterà in Tribunale.

Ai primi di luglio, la vicenda finisce sui giornali. Si scopre che tra le varie angherie, i compagni di scuola giunsero persino a far “provare” il suicidio al ragazzo. Si scopre che la cosa si sapeva, anche tra il corpo insegnanti, ma nessuno la prese sul serio o fece nulla per impedire la tragedia.
La polizia riceve numerose telefonate e messaggi di sdegno per il comportamento nella vicenda. L’11 luglio, 9 mesi dopo la morte del ragazzo, gli investigatori perquisiscono la scuola. Si interrogano ragazzi e studenti.

La scuola dapprima nega, poi il preside si scusa, infine riconosce le proprie colpe.
Alla seconda udienza del processo civile per il risarcimento dei danni, la città di Otsu ha ammesso che è stato il bullismo ad aver causato la morte del ragazzo e si è detta disposta a giungere a una conciliazione amichevole. E un ragazzo ha aggredito a martellate in testa il presidente della Commissione per l’educazione coinvolto nella vicenda, per aver secondo l’aggressore cercato di coprire la verità.
Per un paio di settimane si parla molto di bullismo, in giapponese いじめ (ijime). Il Ministero dell’Istruzione coglie l’occasione per studiare nuovamente il problema e presentare linee guida per affrontarlo.

Nel frattempo a Osaka 3 ragazzini di 15 anni sono stati arrestati perché tormentavano un loro compagno. Per fortuna sono stati presi prima che la situazione arrivasse a un punto irreversibile.
Nel frattempo a Sendai i dirigenti di un istituto avevano chiesto a un ragazzino, che era stato tormentato con sigarette accese, di cui portava le bruciature sulle braccia, di non presentarsi più a scuola perché le bruciature “turbavano” i compagni. Eccole qui:

I genitori del ragazzino hanno presentato querela contro tre dei presunti responsabili degli atti di bullismo.
Vi sono altre storie in questo articolo del Japan Times. O meglio, ve ne erano qualche settimana fa, perché il problema non è più sulle prime pagine.

Anche se la situazione non è certo cambiata da un giorno all’altro: il 5 settembre un altro ragazzino si è buttato nel vuoto dal tetto del suo palazzo, a Sapporo. Ha lasciato un messaggio: “Sono stato tormentato e voglio morire”.  La scuola ha fatto circolare un questionario tra i suoi 600 compagni di scuola e sostiene che non si possa confermare che si tratti di un episodio di bullismo.

Il 5 settembre le linee guida sono state pubblicate. Esse prevedono un ruolo più importante dello Stato nella prevenzione del bullismo, attraverso nuove strutture che affiancheranno i Consigli dell’Educazione e che saranno composte da avvocati, psicologi e poliziotti. I fondi destinati a questo programma di prevenzione sono di 7,3 miliardi di yen, circa 1,6 volte la somma stanziata l’anno scorso.

I casi riportati di bullismo nelle scuole sono stati più di 70.000 nel 2011, ed hanno coinvolto il 38% delle scuole.
I suicidi tra studenti nel 2011 sono in crescita, e sono stati 200 secondo una ricerca del Ministero dell’Istruzione, 353 secondo la polizia. La discrepanza è dovuta al fatto che il rapporto del Ministero non include casi che le famiglie chiedono non siano riportati e casi sui quali la polizia non fornisce dettagli.

Il mobbing in Giappone: “pawahara”

… che è la contrazione di “power harassment” in quattro more, struttura metrica che piace all’orecchio giapponese.

Il Ministero del Lavoro ha recentemente preso coscienza del problema. Lo scorso anno lo sportello (comprende una linea telefonica) dedicato a fornire consigli su problemi collegati al lavoro, ha ricevuto un numero totale di 246.907 richieste di aiuto o consiglio. Di esse, più di 39.000 sono state relative al pawahara.
Si tratta di una cifra circa 6 volte maggiore rispetto al 2002, anno in cui fu lanciata la campagna contro gli abusi sul luogo di lavoro. Ciò non significa necessariamente che il fenomeno sia in crescita, ma più probabilmente che si stia diffondendo la consapevolezza che il pawahara sia un problema, e che ci sono metodi -e magari anche strumenti legali- per venirne a capo.

La prima cosa che il Ministero ha ritenuto di fare è definire cosa costituisca “power harassment”. La definizione provvisoria è stata comunicata al pubblico il 30 gennaio:

職場内で優位な立場にある上司や同僚が、業務の適正な範囲を超えて精神的・身体的苦痛を与えること

Cioè: “infliggere sofferenze psicologiche o fisiche che vanno oltre il giusto ambito lavorativo, nel luogo di lavoro, da parte di superiori che ricoprono posizioni di preminenza o di colleghi”. Alcune fonti precisano che non rileva la relativa posizione gerarchica dei soggetti, e che vi possa essere power harassment anche da parte di soggetti gerarchicamente inferiori, il che non è affatto un’idea balzana: pensiamo ad esempio al potere dei responsabili IT in un’organizzazione complessa.
Le linee guida ufficiali saranno pubblicate entro l’inizio del prossimo anno fiscale, il 1 aprile: non sta per niente bene cambiare le regole (…) in un’altra data.

Questi gli esempi delle sei categorie di condotte che costituiscono pawahara:

  1. Atti violenti o attacchi al corpo della persona.
  2. Linguaggio violento o attacchi verbali contro la sfera psicologica della persona.
  3. Ignorare ed evitare i rapporti umani con il soggetto.
  4. Imporre lavori la cui realizzazione è impossibile, o avanzare altre richieste sproporzionate.
  5. Ordinare l’esecuzione di lavori semplici, che non riflettono le capacità del soggetto, o altre richieste eccessivamente semplici.
  6. Intrusioni eccessive nella sfera personale del soggetto.

E visto che parliamo di diritto del lavoro giapponese e di mobbing, mi viene in mente un romanzo, diventato poi un film che immagino molti conosceranno: Stupeur et tremblements:

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=MUdZL7eZdcI]

Addenda: ho trovato la pagina web -non è stato immediato- del Gruppo di lavoro ministeriale che sta lavorando sul tema, i documenti sono scaricabili a partire da qui.

Aggiornamenti flash

  1. Il Tribunale distrettuale di Shizuoka condanna lo Stato a versare 80 milioni di yen ai famigliari di un militare delle Forze di autodifesa suicidatosi in seguito ad un episodio di nonnismo.
  2. Altre due pronunce della Corte Suprema, 1 Collegio ristretto Pres. Yu Shiraki, in materia di costituzionalità delle istruzioni dei presidi sulla condotta da tenere durante l’esecuzione dell’inno nazionale. Dissenting opinion del giudice Koji Miyakawa.
  3. Pronuncia della Corte Suprema in tema di libertà di espressione.