Andrea Ortolani

Tag: figli legittimi

Ancora su figli legittimi e illegittimi: Corte Suprema e anagrafe locali

Con sentenza del 26 settembre scorso, la Corte Suprema (Primo collegio ristretto) ha reso un’altra importante sentenza in materia di figli legittimi e non legittimi.

La vicenda riguardava una coppia di Setagaya che non aveva indicato nel certificato di nascita se il figlio fosse legittimo o illegittimo, e si era vista rifiutata la registrazione del documento presso gli uffici della ricca circoscrizione di Tokyo.
La coppia lamentava una violazione dell’art. 14 Cost. (uguaglianza) da parte della legge sul registro di famiglia, che impone di indicare se il figlio sia legittimo o illegittimo.

La pronuncia ha deciso così: la disposizione di legge non è incostituzionale, tuttavia non è obbligatorio che sui moduli sia segnato se il figlio è legittimo o meno: le autorità locali possono decidere di non richiedere che si specifichi tale dettaglio, poiché in ogni caso si può risalire a tale informazione attraverso altri documenti in possesso delle autorità.

Qui la sentenza, resa all’unanimità, con opinione concorrente del giudice Sakurai.

La città di Akashi, nella provincia di Hyogo, è stata la prima a modificare le proprie pratiche sulla base di questa sentenza.
La città dichiarava che, in occasione della registrazione della nascita, i suoi uffici dell’anagrafe non avrebbero più chiesto di riempire la casella in cui fino a qualche giorno fa occorreva segnare “figlio legittimo” o “figlio non legittimo”. Da un articolo dell’agenzia di stampa Jiji.com, ecco una foto che compara modulo vecchio e nuovo:

Il Ministero della Giustizia tuttavia dichiarava che il modulo è contrario alla legge, che richiede che lo status del figlio sia esplicitamente dichiarato, e non escludeva la possibilità di un richiamo o altri provvedimenti da parte dell’ufficio competente per territorio (Kobe).
La città di Akashi è dunque ritornata sui suoi passi e ha ritirato il nuovo modulo.

Storica sentenza della Corte Suprema sull’art. 900 comma 4 c.c.

Il codice civile giapponese, art. 900 comma 4 prevede:

子、直系尊属又は兄弟姉妹が数人あるときは、各自の相続分は、相等しいものとする。 ただし、嫡出でない子の相続分は、嫡出である子の相続分の二分の一とし(…)
Se ci sono due o più figli, ascendenti o fratelli, la quota ereditaria è divisa in parti eguali. Tuttavia, la quota ereditaria dei figli non legittimi è la metà della quota dei figli legittimi (…)

Negli anni passati, il trattamento discriminatorio dei figli non legittimi era già stato denunciato e portato all’attenzione della Corte Suprema, sia dei collegi ristretti che del gran collegio. Quest’ultimo nel 1995 aveva dichiarato, in una decisione 10-5, che la norma non fosse in contrasto con la Costituzione, perché essa rifletteva il sentimento sociale del tempo, ed il favore verso il matrimonio presente nel codice civile.
La sentenza si spingeva anzi a dire che si trattava di un riconoscimento nei confronti dei figli non legittimi, come dire: “E ancora grazie che vi spetta qualcosa” (passo citato a p. 3 della sentenza).

Il clima nel frattempo è cambiato, e la decisione del 4 settembre, nell’aria da tempo, dichiara incostituzionale questa disposizione, per contrasto con l’art. 14 comma 1 Cost.:

すべて国民は、法の下に平等であつて、人種、信条、性別、社会的身分又は門地により、政治的、経済的又は社会的関係において、差別されない
Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e non sono discriminati nelle loro relazioni politiche, economiche o sociali a causa della loro razza, religione, sesso, condizione sociale o origine famigliare.

La decisione è stata unanime (14-0, poiché il giudice Terada, che aveva collaborato con il Ministero della Giustizia sulla riforma di questa materia, si è astenuto) nel riconoscere che la previsione del codice civile è discriminatoria nei confronti dei figli non legittimi, e che ad essi spetta una quota ereditaria di pari valore rispetto a quella dei figli legittimi.
In motivazione, interessanti i riferimenti di diritto comparato al diritto tedesco (legge del 1998 sulla successione dei figli illegittimi) e francese (legge del 2001) (p. 5 della sentenza).
Da notare la presenza di concurring opinion ( 補足意見 ) da parte dei giudici Kanetsuki, Chiba e Okabe (la cui opinione figura in ordine di anzianità di servizio). In particolare, le prime due opinioni trattano del problema della retroattività e degli effetti in altri giudizi della pronuncia di incostituzionalità.

La sentenza ha quindi “cassato” e rinviato il procedimento all’Alta Corte di Tokyo.
Importante anche la parte del dispositivo che precisa che la decisione non produce effetti in merito ai rapporti giuridici in materia ereditaria definiti dal luglio 2001 al giorno della sentenza in esame.

Qui un servizio sulla sentenza, con intervista alla parte ricorrente.

http://www.youtube.com/watch?v=5LaiLloXxZ8

Qui gli estremi con dispositivo e qui il testo della decisione (online già un giorno dopo la pronuncia… complimenti!).

È la prima volta che una disposizione del codice civile (ricordiamo, del 1898) viene dichiarata incostituzionale.
Subito dopo la lettura della sentenza, il governo ha prontamente dichiarato che si metterà al lavoro per modificare la disposizione in modo da renderla conforme alla Costituzione.
Nel 2011, secondo dati del Ministero della Salute, vi erano in Giappone 23.000 figli nati fuori dal matrimonio.

La notizia della sentenzia sui quotidiani online: Tokyo Shinbun (JP), Japan Times (EN).

* Nota sulla terminologia: l’espressione “figli illegittimi” è superata in italiano. Essa traduce letteralmente 非嫡出子 (hichakushutsushi), termine usato correntemente dalla dottrina. La sentenza tuttavia usa tale vocabolo solo quando cita precedenti o leggi straniere; coerentemente alla scelta linguistica del codice civile, e forse per la volontà di usare un vocabolo meno “duro”, il termine usato dai giudici nelle motivazioni è 嫡出でない子 (figlio non legittimo).

Questo rapporto di paternità non si può registrare

Il disturbo dell’identità di genere (di seguito, DIG) è una condizione in base alla quale una persona si identifica con il sesso opposto al proprio sesso biologico.
Nel 2003 il Parlamento giapponese approvava la Legge sui casi particolari per il trattamento delle persone affette da DIG (L. 111/2003, 性同一性障害者の性別の取扱いの特例に関する法律 ).

La legge definisce “individuo affetto da DIG” l’individuo che si identifica psicologicamente con il sesso opposto a quello biologico, e che abbia intenzione di vivere secondo il sesso con cui si identifica psicologicamente. Per riconoscere il DIG è necessario richiedere un esame medico. Almeno due medici che abbiano sufficiente conoscenza ed esperienza devono diagnosticare in maniera conforme la discordanza tra l’identità sessuale naturale e l’identità psicologica (art. 2).
Sulla base di queste diagnosi, il Tribunale di Famiglia può approvare il cambiamento di registrazione del sesso dell’interessato presso gli uffici dell’anagrafe, a patto che il richiedente soddisfi tutte le seguenti condizioni: a) il richiedente è maggiore di venti anni; b) non è sposato; c) non ha figli minorenni; d) non ha gonadi, o avendole, esse hanno perduto per sempre la propria funzione; e) ha un apparato genitale che presenta un aspetto simile a quello del sesso opposto (art. 3).
Ove il Tribunale renda una decisione in base agli articoli precedenti, il sesso del richiedente è considerato, a tutti gli effetti di legge e fatta eccezione per casi particolari espressamente stabiliti, modificato nel senso del nuovo sesso. La modifica non influenza i rapporti ed i diritti e doveri sorti prima del riconoscimento del cambio di sesso (art. 4).

È notizia di qualche giorno fa che gli uffici della circoscrizione di Shinjuku (Tokyo) non avevano accettato l’iscrizione nei registri di famiglia del rapporto di paternità in capo a un uomo di 30 anni, nato donna. Il soggetto aveva seguito le procedure di legge per diventare legalmente uomo. Aveva in seguito sposato la propria compagna, che usando sperma donato aveva portato a termine una gravidanza.
Gli uffici dell’anagrafe avevano rifiutato la registrazione del marito della madre come padre del bambino perché il padre era chiaramente incapace di procreare. Non poteva dunque valere la presunzione di paternità prevista dal codice civile per i figli nati da coppia sposata (art. 772 「妻が婚姻中に懐胎した子は、夫の子と推定する」”Si presume che il figlio concepito dalla moglie durante il matrimonio sia figlio del marito”).

Il Tribunale di Tokyo ha confermato la decisione degli uffici. Il figlio è quindi figlio illegittimo, e la casella del padre nel registro di famiglia è rimasta vuota.

Commento personale: mi pare che la cosa non regga dal punto di vista della logica.
Una volta che la legge ammette il cambio di sesso e riconosce la parità di fronte alla legge [su questo punto si possono avere idee diverse ma non è questo il punto in discussione qui], bisogna accettarne le logiche conseguenze. Il figlio di una donna sposata è figlio legittimo della donna e si presume del di lei marito. Mi pare insomma una discriminazione, stando così le cose.
Secondo il giudice Yoshiki Matsutani ( 松谷 佳樹 ) invece la decisione non è contraria alla Costituzione, perché è evidente che nel caso in questione non si possa presumere che il marito sia padre del bimbo. Anzi, il giudice si spinge fino a suggerire alla coppia di adottare il figlio in modo da poterlo rendere figlio legittimo e godere del regime giuridico dei figli legittimi.
E salvare la faccia all’ordinamento giuridico.

Sulla legge sul DIG, vedi anche M. Tanamura e K. Yangwhan, “Family law”, in Waseda Bulletin of Comparative Law 24 (2004), p. 42.

Pronuncia dell’Alta Corte di Osaka sulla quota ereditaria dei figli nati fuori dal matrimonio

Una particolarità del diritto di famiglia/successorio giapponese riguarda la differenza di trattamento tra figli nati da genitori sposati ( 嫡出子 noti anche, con termine non del tutto felice: “figli legittimi”) e figli nati fuori dal matrimonio ( 非嫡出子 idem: “figli illegittimi”) in relazione alle quote ereditarie in caso di successione intestata: il Codice civile giapponese prevede che ai figli nati da genitori sposati vada il doppio della quota spettante ai figli nati fuori dal matrimonio (art. 900 comma 4).
Ad esempio, nel caso che veda concorrere un figlio nato da genitori sposati e un figlio nato fuori dal matrimonio, al primo andranno i 2/3 e al secondo 1/3 dell’asse ereditario; in caso di due figli nati da genitori sposati e uno nato fuori dal matrimonio, ai primi 2/5 ciascuno, e al figlio nato fuori dal matrimonio 1/5. E così via.

La regola era stata attaccata per la sua presunta incostituzionalità, ma la Corte Suprema aveva statuito, l’ultima volta nel 1995 (qui il giudizio tradotto in inglese), che la norma non fosse in contrasto con la Carta costituzionale, poiché essa non eccedeva l’ambito entro il quale il legislatore gode di discrezionalità legislativa.

L’Alta Corte di Osaka ha reso un giudizio che incrina questo indirizzo. La decisione è del 24 agosto ma è uscita sui giornali in questi giorni.
La vicenda riguarda l’appello avverso una decisione del Tribunale di famiglia di Osaka, su una causa riguardante la divisione dell’eredità di un uomo tra la moglie e 4 figli, di cui uno nato fuori dal matrimonio. La Corte, Presidente Yoshifumi Akanishi (? 赤西芳文 qui la sua carriera) ha sostenuto che la vita famigliare, i rapporti genitori/figli e la mentalità dei cittadini sono cambiati, e che nel 2008 il differenziare tra figli nati da genitori sposati e figli nati fuori dal matrimonio eccede l’ambito di discrezionalità concesso al legislatore.
La parte rappresentante i figli nati dai genitori sposati non ha presentato ricorso ed il giudizio è passato in giudicato.

Fonti: Asahi Shinbun, Yomiuri Shinbun, Nikkei Shinbun.