4 novembre 2017: Terzo convegno AIGDC

Il 4 novembre 2017 si terrà il terzo convegno dell’Associazione Italo-Giapponese per il Diritto Comparato – 日伊比較法研究会 presso l’Università di Nagoya.

Il convegno in questa edizione “si fa in tre” e oltre alle consuete sessioni in italiano e giapponese, farà il suo esordio una sessione in inglese.
Aprirà il convegno il keynote speech di Antonello Miranda che parlerà di diritto nell’era delle migrazioni.
Seguiranno le relazioni dei soci su vari aspetti del diritto italiano e giapponese. Il tema che farà da filo conduttore del convegno sarà la riflessione sugli episodi di recezione e sulla teoria delle famiglie giuridiche riconsiderata alla luce degli esempi italiano e giapponese.
Concluderà il convegno la relazione del Presidente AIGDC, Toshiyasu Takahashi.

Ringraziamenti al prof. Giorgio Colombo per l’organizzazione logistica, e allo Studio legale Pavia e Ansaldo, ufficio di Tokyo, che sponsorizza l’iniziativa.
L’AIGDC ringrazia inoltre l’Associazione Giapponese di Storia Italiana, l’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Keio, il Centro di studi sull’Italia dell’Università Waseda per il patrocinio accordato al convegno.

La partecipazione è gratuita e aperta a tutti. Questo il programma:

Ore 9:30 Registrazione dei partecipanti
Ore 9:45 Saluti di apertura
Dai YOKOMIZO, Università di Nagoya
Andrea ORTOLANI, Università Keio, Segretario AIGDC

Ore 10:00 Keynote Speech
Antonello MIRANDA, Università di Palermo “The narrowing of legal norms, between law and limits in the age of migration and nations’ identity crisis”
Modera: Dai YOKOMIZO, Università di Nagoya

Ore 10:45 Coffee break

Ore 11:00 Sessione in inglese
Andrea ORTOLANI, Università Keio “Japan: A Civil Law Country”
Sean MCGINTY, Università di Nagoya “Executive Compensation in Japanese and Canadian Corporate law: Does Legal Origin Matter?”
Modera: Giorgio Fabio COLOMBO, Università di Nagoya

Ore 12:00 Sessione speciale bilingue (italiano-giapponese)
Martina Sayaka ANGELETTI, Mieko HOSAKA, Adriano VILLA, Studio Legale Pavia e Ansaldo, “Metodi di redazione anglo-americani nelle operazioni commerciali italo-giapponesi: valutazione pratica di un processo di triangolazione”
Modera: Giorgio Fabio COLOMBO, Università di Nagoya

Ore 12:30 Pausa pranzo

Ore 13:30 Sessione in giapponese
Seiyo KOJIMA, Università Senshu 「社会保障における給付と拠出の関連性についての日伊比較 ——「給付の自動性の原則」をめぐって」
Franco SERENA, Università Keio 「国際取引における規則の統一は可能か」
Modera: Masao KOTANI, Università Ochanomizu

Ore 14:30 Sessione in italiano
Pompeo POLITO, Sapienza Università di Roma, “L’immagine nella rete. Tra privacy e right of publicity”
Giuseppe GENNARI, Tribunale di Milano, “L’utilizzo di dati tecnico-scientifici nelle investigazioni e nel processo penale: ibridazione tra modello americano e italiano”
Modera: Takeshi MATSUDA, Università di Osaka

Ore 15:30 Coffee Break

Ore 15:50 Pierluigi DIGENNARO, JSPS Overseas Researcher, Università Meiji “Indagine sulle famiglie giuridiche: dalla struttura alla funzione”
Michela RIMINUCCI, Università di Kobe, “Il viaggio in Oriente del divieto di discriminazione indiretta nel diritto del lavoro”

Ore 16:50 Conclusioni
Toshiyasu TAKAHASHI, Università Shudo di Hiroshima

Ore 17:00 Fine dei lavori
Ore 17:15 Assemblea dei Soci
Ore 19:00 Cena sociale

Qui il programma in giapponese.

Qui le indicazioni per raggiungere il luogo dell’evento.

 

 

I giapponesi che fanno causa (XXXII): attrici per ricatto, idols che si fidanzano e danni atomici

76. Attrice di un certo tipo

Una giovane donna firma un contratto con una società che le promette di promuoverla come attrice e personaggio del mondo dello spettacolo. In realtà il contratto prevede, tra le altre cose, che la donna reciti in diversi film a luci rosse.
Quando la giovane donna, dopo aver partecipato a lavori “osceni” (non è dato sapere ulteriori dettagli) da minorenne, raggiunta la maggiore età si rifiuta di partecipare come protagonista di un film per adulti, la società produttrice le fa causa, chiedendo ¥24M (€ 175.000) come risarcimento per inadempimento del contratto.
Il Tribunale di Tokyo, pres. Katsuya Hara ( 原 克也 ) non ha accolto la domanda della produzione, liberando di fatto la giovane donna dal vincolo contrattuale.

77. Idol? Vietato fidanzarsi

Un gruppo di idol come tanti altri. Un contratto tra la società che produce il gruppo e le ragazze del gruppo. Una clausola del contratto prevede che le ragazze non possano avere un fidanzato. Questioni di immagine di fronte ai possibili fans.
Il gruppo alla fine non ha il successo sperato e si scioglie, ma si scopre che una delle ragazze aveva una storia con un ragazzo. I produttori quindi fanno causa alla ragazza, chiedendo un risarcimento per la violazione della clausola.
Il giudice Akitomo Kojima ( 児島 章朋 ) del Tribunale di Tokyo ha riconosciuto le ragioni della società produttrice e condannato la giovane al pagamento di ¥650.000 (€ 4.800) come risarcimento nei confronti dei produttori.
Qui altri dettagli.

78. Danni per la contaminazione radioattiva. Di 70 anni fa

64 residenti della provincia di Hiroshima hanno fatto causa alle amministrazioni locali perché non sono stati inclusi come vittime “certificate” della nube radioattiva che coprì la città dopo il bombardamento atomico americano del 1945. Cioè 70 anni fa.
Si tratta dei tipici giapponesi che detestano andare in giudizio, la cultura giapponese che non ama la legge ed il diritto etc etc…

(puntata precedente)

Per te che vuoi studiare (diritto) all’Università Keio

Thesis@Keio

L’Università Keio di Tokyo ha lanciato il programma “Thesis@Keio”.
Esso offre la possibilità a studenti di master o dottorato di trascorrere un periodo di ricerca compreso tra 7 e 89 giorni presso le sue strutture.
Non vi sono scadenze per la presentazione della domanda: il periodo di ricerca inizia dopo almeno due mesi dalla presentazione della domanda o un mese dall’accettazione.
Qui le informazioni generali sul programma. Qui i dettagli sulla domanda.
“Thesis@Keio” non è riservato agli studenti di giurisprudenza, ma è aperto a tutte le discipline.

Borsa di studio Istituto Italiano di Cultura / Università Keio

L’accordo tra Istituto Italiano di Cultura di Tokyo e l’Università Keio offre una borsa di studio all’anno a uno studente universitario (laureando o giovane studente post-grad). Il periodo in oggetto è di solito da settembre a giugno dell’anno successivo.
Qui i dettagli sulla pagina dell’Università Keio. Qui sulla pagina dell’Istituto Italiano di cultura.
La borsa 2015-2016 è ormai stata assegnata.
È ancora presto per il bando del periodo 2016-2017, ma chi fosse interessato tenga d’occhio la pagina.

Le altre possibilità

Questa infine la pagina dell’Ufficio affari internazionali dell’Università Keio con la lista delle borse di studio e degli accordi con istituzioni straniere.
Tra tutte le possibilità, la più nota è probabilmente la borsa del Ministero dell’Istruzione giapponese: tutti i dettagli a partire da qui.
Qui la lista delle istituzioni che hanno accordi di scambio con l’Università Keio, qui quelle europee.
Dall’Italia: l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università Orientale di Napoli, il Politecnico di Milano e l’Università Bocconi di Milano.

Nascita ed evoluzione dell’art. 9

Un interessante articolo sulla genesi del famoso articolo 9 della Costituzione giapponese, con un’ipotesi sul ruolo giocato da Toshio Shiratori, criminale di guerra di classe A.

Qui invece uno dei più stimati costituzionalisti giapponesi, il prof. Yasuo Hasebe, scrive sulle vicende del mese scorso, sulla legislazione in materia di difesa ed il recente stravolgimento (dell’interpretazione) dell’art. 9.

I SOKAIYA: LA SERIE (Disturbatori d’assemblea di professione – Parte Seconda)

Nella prima “puntata” abbiamo provato ad abbozzare una definizione più o meno esaustiva di sōkaiya, in questo post ci soffermeremo maggiormente sulla genesi, le tipologie e i metodi degli stessi.

Individuare il momento esatto dell’entrata in scena dei sōkaiya è compito arduo. Il fenomeno per come lo conosciamo noi oggi trae molto probabilmente origine dalle riforme imposte dall’occupazione americana del secondo dopoguerra.

Gli Stati Uniti, nel processo di ammodernamento del paese, individuarono negli zaibatsu (le arcinote concentrazioni industriali e finanziarie a struttura verticale) il diaframma da abbattere per l’instaurazione di un sistema economico moderno e concorrenziale.

Questo pacchetto di riforme fece sì che la proprietà dei grandi gruppi venisse dispersa presso un pubblico più ampio. Con l’espansione, forzata, dei mercati dei capitali e con una conseguente maggiore partecipazione alla compagine societaria nipponica, si aprirono gli spazi per tutti quei soggetti malintenzionati prima estranei a questo mondo.

Una prima originaria forma di sōkaiya era rappresentata dai bunkatsuya, termine di difficile traduzione (分割 – bunkatsu significa divisione, scissione). I bunkatsuya acquistavano un certificato azionario di una società rappresentativo di più azioni. Fatto ciò, il bunkatsuya chiedeva alla società di emettere tanti certificati azionari quante erano le azioni rappresentate dal primo certificato acquistato. A questo punto il bunkatsuya comunicava alla società che le azioni erano state cedute a soggetti terzi, di solito un soggetto per azione, ma che al contempo lo stesso continuava ad operare quale delegato dei nuovi azionisti. Il Codice di Commercio del tempo prevedeva una procedura assai gravosa in questi casi, sia in termini pubblicitari, sia in termini di informazioni agli azionisti: la società era costretta a contattare ogni singolo nuovo azionista per verificare la genuinità della delega, iscrivere i nuovi soci e le rispettive deleghe nel libro soci, emettere i nuovi certificati ecc. Questa diabolica procedura richiedeva una tale quantità di lavoro da rendere più conveniente alla società di pagare il bunkatsuya per ritirare la propria richiesta di frazionamento del titolo azionario piuttosto che evaderla.

Tale esempio è emblematico per comprendere un fenomeno che molti, Szymkowiak in primis, ritengono trarre origine dalla particolare cultura sociale dei giapponesi. A ben vedere, sebbene la scintilla e la propagazione di tale disfunzione possano sembrare il frutto di una cultura quanto mai protratta verso un ideale di armonia, la realtà è ben altra. Il bunkatsuya otteneva un guadagno illecito approfittando di una situazione di inefficienza normativa (il diritto di ricevere un certificato per ciascuna azione detenuta), per contro le società, in un’ottica di mera convenienza economica, preferivano pagare il bunkatsuya piuttosto che dare seguito alle sue richieste. Ciò è confermato dal fatto che, a seguito della riforma del codice di commercio del 1982, in virtù della quale alle società veniva riconosciuta la facoltà di emettere certificati azionari rappresentativi di lotti di entità minima più consistente (ad es. 100 o 1.000 azioni), la figura dei bunkatsuya sparì nell’arco di una notte.

Ritornando ai sōkaiya, un’ulteriore precisazione è d’obbligo: questi soggetti non sempre si pongono in diretto contrasto con una società, può accadere che gli stessi operino per conto di questa (o meglio per conto degli azionisti di maggioranza della stessa). I sōkaiya possono essere così suddivisi in due macro categorie in funzione del loro schieramento:

  • Yatō sōkaiya (野党総会屋). Sono forse la forma di più chiara comprensione. Sono estorsori che operano contro una società con varie tecniche quali: minacciando di rivelare informazioni sensibili in sede assembleare o di divulgarle a mezzo stampa, disturbando o minacciando i partecipanti o il management durante le assemblee ecc.;
  • Yotō sōkaiya (与党総会屋). Sono invece quei sōkaiya che operano al soldo dell’azionista di maggioranza o del management per: sopprimere il dissenso dei soci di minoranza, accelerare l’iter e le decisioni assembleari, contrastare l’operato di altri sōkaiya

Vi sono poi ulteriori categorie organizzate in funzione del tipo di attività/specializzazione del sōkaiya.

Si va dai banzaiya, acceleratori di assemblee, il cui loro ruolo è principalmente quello di deliberare a favore degli argomenti all’ordine del giorno in maniera chiassosa semplicemente urlando “igi nashi” (異議) cioè “nessuna obiezione”, alla loro nemesi, i sōkai arashi (総会嵐), letteralmente le “bufere delle assemblee”, il cui unico fine è quello di rendere impossibile lo svolgimento delle assemblee in modi più o meno violenti.

Una categoria degna di nota è poi quella dei shinbunya (新聞屋), i “giornalisti” o forse meglio “giornalai”, i quali minacciavano le società di rivelare informazioni scomode o sensibili attraverso giornali e/o riviste che gli stessi si impegnavano a stampare e distribuire. Qui la struttura dell’estorsione raggiungeva il suo apice: la società non pagava direttamente il shinbunya, spesso acquistava tutta la tiratura di tali pubblicazioni potendo così mascherare meglio la spesa sulle scritture contabili e addirittura facilitare al sōkaiya il “lavaggio” del capitale ottenuto illecitamente.

 

つづく・・・

I coreani che fanno causa (in Giappone)

  1. La Corte Suprema giapponese ha detto l’ultima parola nella vicenda che vedeva contrapposti il governo giapponese e le vittime coreane dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, ora residenti al di fuori del Giappone. Questi ultimi chiedevano di avere accesso alle misure di sopporto -in particolare al rimborso delle spese mediche- offerte dal Giappone ai sopravvissuti ai bombardamenti.
    La Corte Suprema ha dato loro ragione. Qui la sentenza.
    Si stima che il giudizio interessi circa 4.000 persone.
  2. Una donna di origine coreana ha citato in giudizio il suo datore di lavoro perché, secondo la di lei ricostruzione, negli anni passati ha distribuito in azienda materiale razzista nei confronti di Corea e Cina, e perché a lei ed i suoi colleghi fu imposto di promuovere un libro di testo per le scuole medie noto per la sua interpretazione di destra della storia giapponese, ed in particolare della prima metà del XX secolo.
    La donna chiede danni morali per ¥33M, circa €245.000.

I SOKAIYA: LA SERIE (Disturbatori d’assemblea di professione – Parte Prima)

L’universo del diritto giapponese è popolato da figure mitologiche, creature sovrannaturali di un diritto incomprensibile ai più. Di fronte a tali diversità e nell’impossibilità di individuare o comprenderne l’origine, lo studioso più pigro tende a trincerarsi dietro a non meglio specificati ragioni socio-culturali.

L’argomento oggetto del presente articolo è emblematico in tal senso. Cediamo anche noi a questo approccio e partiamo dal fatto, di cronaca nera più precisamente.

Correva l’anno 1994 e il Giappone stava affrontando la prima grande crisi economica dal secondo dopoguerra, la Yakuza aveva ormai varcato i confini giapponesi per entrare nell’immaginario occidentale grazie a film quali Black Rain e Fujifilm si preparava a sponsorizzare il primo mondiale di calcio negli Stati Uniti. Juntaro Suzuki era un uomo di 61 anni, manager capace dalla condotta specchiata. Solo due anni prima era stato promosso Vice President di Fuij Photo Film Co. con delega ai rapporti con gli azionisti. Tale delega non gli fu però rinnovata e questo fu forse causa della sua morte. Il 28 febbraio del 1994 Suzuki viene assassinato davanti all’uscio di casa colpito da più fendenti di cui uno mortale alla gola. Dalla natura delle ferite riportate, si intuì subito che non si trattava di un coltello quanto piuttosto di una spada giapponese (katana). Tale dettaglio fece propendere nei primissimi istanti per un omicidio politico perpetrato da un gruppo di estrema destra. Poco tempo trascorse prima che gli inquirenti indirizzassero le loro attenzioni nella giusta direzione: il mondo dei Sōkaiya.

Il 19 gennaio del medesimo anno si era tenuta l’assemblea degli azionisti di Fuji Film, durante la quale disturbatori di professione spalleggiati dalla Yamaguchi-gumi (il più potente gruppo della Yakuza) avevano subissato il presidente Minoru Ounishi di domande pretestuose per oltre quattro ore. Il più agitato di questi disturbatori arrivò a scagliare contro lo stesso tre bottiglie di liquore prima di essere arrestato. Il clima di terrore attorno la società era di tutta evidenza al punto che la polizia aveva deciso di sorvegliare le abitazioni degli amministratore nei giorni seguenti. Sfortunatamente per Suzuki, non essendo delegato all’assemblea, la polizia non lo ritenne soggetto a rischio e non gli accordò quella protezione di cui sicuramente necessitava. Suzuki infatti aveva deciso di tenere un comportamento di assoluto rifiuto nei confronti di questi ricattatori. Questo rifiuto gli costò la vita.

In questa vicenda (narrata in stile Blu Notte) si palesò al grande pubblico, soprattutto quello estero, il fenomeno dei sōkaiya. Cerchiamo di dare una definizione più o meno esaustiva di sōkaiya (総会屋). Letteralmente il termine sōkaiya deriva dalla composizione di due parole: (i) sōkai (総会) che indica l’assemblea degli azionisti (a voler essere corretti è un’abbreviazione di kabunushi- sōkai (株主総会) dove i kabunishi sono appunto gli azionisti); e il suffisso ya (屋) che a sua volta indica un soggetto operante per professione in un determinato contesto o materia, quale appunto quella delle assemblee degli azionisti.

I sōkaiya sono pertanto coloro che operano professionalmente nel contesto delle assemblee degli azionisti di società commerciali. Detto così può sembrare un lavoro come un altro, una delle tante figure consulenziali che gravitano attorno alle società. Ed effettivamente così è. L’unica distinzione tra i sōkaiya e gli altri “consultant” risiede nell’illiceità della loro condotta e nella brutalità dei loro metodi.

Ciononostante, nel descrivere tale fenomeno si rischia di cedere a semplificazioni che non ne agevolano la comprensione: i sōkaiya possono essere estorsori, taglieggiatori, insider trader, o truffatori; possono intrattenere rapporti continui con la Yakuza o essere al soldo delle società, possono essere questo e molto altro. Per tali ragioni e per l’eterogeneità dei loro metodi e delle loro condotte possiamo provare ad abbozzare una definizione.

Per sōkaiya deve intendersi un individuo o gruppo di individui che, in virtù del proprio status di azionista/i di una società commerciale (generalmente quotata), mediante comportamenti di natura illecita, procura/no a sé o al gruppo di cui è/sono parte un ingiusto profitto ad esclusivo detrimento della società stessa.

つづく・・・

Gli avvocati, giudici e PM della classe 2015

1.850 candidati su 8.016 hanno passato quest’anno l’esame di ammissione alle professioni forensi, 40 in più dell’anno scorso. La percentuale degli idonei rispetto ai candidati è stata del 23,1%.

Il Ministero della legge (*) pubblica statistiche molto dettagliate su tutto ciò che riguarda l’esame. Questa la pagina di partenza.
La statistica più spietata è senz’altro questa, dove si elencano, tra le altre cose, tutte le cd. Law school (la denominazione ufficiale è 法科大学院 ), il relativo numero di candidati e di candidati idonei. Ci sono istituti che hanno, tristemente, uno zero nella casella dei candidati che hanno superato l’esame.
La Law school dell’Università Chuo è quella che vanta più idonei (170), seguita dalle Law school di Keio (158), dell’Università di Tokyo (149) e di Waseda (145).
Tra le università che hanno più di 50 idonei è tuttavia la Law school di Hitotsubashi che può vantare la percentuale più alta di candidati che superano l’esame: 79 su 151, cioè più del 52%. Tutte le altre università sono (ben) sotto il 50%.

Le materie a scelta preferite dai candidati vincenti sono diritto del lavoro, scelto da quasi il 30% dei candidati, diritto fallimentare (quasi il 20%) e la cosiddetta “proprietà intellettuale” (13,4%).
Più della metà (56%) del candidati che ha portato a termine l’esame lo ha sostenuto a Tokyo. Il 20% a Osaka, il resto nelle altre 5 sedi: Sapporo, Sendai, Nagoya, Hiroshima e Fukuoka.
Sesso dei candidati vincenti: quasi 4 su 5 sono maschi (78,4%), solo il 21,6% femmine.
Età media di 29,1 anni, in crescita di quasi un anno rispetto al 2014. Il candidato vincente più anziano ha 68 anni (può andare in pensione contento!), il più giovane 21.

Interessante notare che tra gli idonei, 186 non sono laureati delle Law school,  ma hanno avuto accesso all’esame attraverso un test di preselezione, per il quale nemmeno la laurea in giurisprudenza è un requisito.
La percentuale di candidati che supera l’esame in questo caso è del 60,5%.
A prima vista, di fronte a questo dato, le Law school non fanno una grande figura.
Però. Ci sono due però.
In primo luogo, ovviamente ci sono meccanismi di autoselezione per cui solo candidati estremamente preparati, motivati e sicuri di sé tentano questa strada assai ardua, e questo in parte spiega l’alto numero di candidati che superano l’esame.
In secondo luogo, come si evince da queste statistiche, dei 307 che hanno tentato l’esame così, da “privatisti”, senza formalmente passare da una law school, in realtà 89 sono iscritti in corso a una law school (e quindi sono soggetti che tentano l’esame prima di aver completato i 2 o 3 anni), 57 sono studenti universitari e 66 hanno terminato la Law school in anni passati. La percentuale di idonei relativa a queste tre categorie è di 154 su 186, quindi un altissimo 82,7%. L’università e le law school servono dunque a qualcosa.
Immagino che i docenti tuttavia non siano particolarmente allegri di ciò, sia perché i ragazzi in corso che passano l’esame si ritirano e non pagano più la retta, sia perché uno studente che passa come “privatista”, ed ha successo, è uno studente di successo in meno per le statistiche della Law school (dalle quali deriva il prestigio).

Qui la Corte Suprema illustra in inglese alcune caratteristiche della selezione e della formazione dei candidati vincenti, prima che diventino giudici, PM o avvocati.

Infine, non può mancare lo scandalo con sfumature rosa: pare che un professore incaricato di redigere le domande del test abbia rivelato i quesiti a una sua studentessa. La ragazza è stata esclusa dalla sessione corrente e le è stato proibito di sostenere l’esame per i prossimi 5 anni. Il professore è sotto inchiesta.

(*): non si può parlare di Ministero della giustizia in un paese che pratica la pena di morte.

Avviso: Conferenza annuale della British Association for Japanese Studies (BAJS)

Il 10 e l’11 settembre 2015 si terrà a Londra, presso prestigiosa Scuola di Studi Orientali e Africani, ai più nota come SOAS, la Conferenza annuale dell’Associazione britannica per gli studi giapponesi.
Qui la pagina di presentazione, e qui il ricco programma.

Tra i relatori, nella sessione 4 di venerdì dal titolo “Japanese Law and the Rhetoric of Legal Orientalism: Contesting the Terrain“, figurano due studiosi italiani: Giorgio F. Colombo e Fabiana Marinaro, già noti ai lettori di questo blog. Accanto a loro Lawrence Repeta e Dimitri Vanoverbeke.
Il programma contiene i riassunti degli interventi dei quattro relatori. Riporto la presentazione della sessione:

This panel aims to offer a critical analysis of the functioning of the Japanese legal system and of the role law plays in Japan, thereby challenging the still widespread stereotypical views about the irrelevance of law in Japanese society.
Despite the work produced by a number of (often) American scholars, in Europe the subject of law in Japan remains confined to a niche; and narratives about the Japanese legal system appear – still – to be locked into an orientalist perspective which dismisses its importance in Japanese society. What is more, there exists usually a great divide, and poor communication, between the few experts on the subject and scholars from other fields.
Yet, today, Japan is even more under the spotlight of legal and political discussion. The reforms stemmed from the recommendations of the Justice System Reform Council in 2001 are becoming visible; whilst the Abe administration launched a number of structural reform plans, from the proposed amendments to the Japanese Constitution to more specific legal reforms in key sectors such as fiscal and labour market policies. Against this backcloth, the proposed papers investigate the approach to the rule of law in Japan in order to expose what role can and does law play in the country. It will do so by exploring the Japanese legal system from different theoretical and methodological perspectives: after a systematic review of how Japanese law was misrepresented in general comparative law (with specific references to dispute resolution) (Colombo), the panel will offer critical remarks on the labour policy regarding atypical (non-regular) employment (Marinaro) and the participation of citizens and their on-going struggle for democracy which sees the conflicts of different social fields result in a consolidation of the force of law in Japan (Vanoverbeke).

I giapponesi che fanno causa (XXXI): suicidi e molestie, cancro a Fukushima, libertà di stampa

73. Suicidio per molestie?

Una dipendente della catena di family restaurant italianeggianti “Saizeriya” si suicida.
I familiari citano in giudizio il manager del ristorante dove lavorava la donna, sostenendo che il suicidio è dovuto alle molestie sessuali da lei subite nei 9 mesi precedenti il suicidio.
La richiesta è di ¥98 milioni, circa €725.000 al cambio attuale.

74. Cancro a Fukushima

Un uomo che ha lavorato alla messa in sicurezza della centrale nucleare di Fukushima-1 dopo l’incidente si è ammalato di cancro in carie parti del corpo.
L’uomo ha citato in giudizio presso il Tribunale di Sapporo il gestore della società, TEPCO, sostenendo che l’insorgenza del tumore è dovuta all’esposizione alle radiazioni avvenuta durante la sua attività lavorativa, e chiedendo 65 milioni (€480.000) come risarcimento del danno.

75. Kisha kurabu e libertà di stampa

Nel settembre 2012 la giornalista Hajime Shiraishi ha citato in giudizio il governo e il kisha kurabu del Parlamento giapponese (sui kisha kurabu, o “circoli dei giornalisti”, qui o qui) in merito alla gestione dell’edificio dove ha sede il club, vista da Shiraishi come un grave impedimento alla libertà di stampa.
L’Alta Corte di Tokyo ha giudicato inammissibile la domanda della giornalista.
La questione ora pende presso la Corte Suprema.

(puntata precedente)