Costituzionale, incostituzionale e “in uno stato di incostituzionalità”

Costituzionale, incostituzionale e “in uno stato di incostituzionalità”

Il controllo di costituzionalità delle leggi è una delle conquiste del costituzionalismo moderno. Il suo obiettivo è garantire che lo Stato eserciti i suoi poteri in conformità alla Costituzione, e assicurare così il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini da essa sanciti.

Le leggi possono essere conformi alla costituzione o non conformi. Questa è logica, ed è quanto lo studente del primo anno di giurisprudenza impara nelle prime lezioni.
Qualche lezione dopo lo studente italiano incontra alcuni stratagemmi della Corte Costituzionale italiana: non contenta della scelta, a volte drastica, posta dal semplice rigetto o accoglimento della domanda, la Corte ha ideato tecniche che permettono di calibrare meglio gli effetti delle proprie pronunce. Abbiamo così sentenze di accoglimento parziale, interpretative, additive. Qui uno schema sintetico. Si tratta di un’evoluzione che aggiunge sfumature alle pronunce della Suprema Corte, ma che non mette in discussione l’approccio binario: la legge, o parti di essa, o una sua determinata interpretazione, sono costituzionali o incostituzionali.
E nel caso una norma sia incostituzionale, essa cessa di avere effetti.

Mercoledì 20 novembre la Corte Suprema giapponese ha  reso sentenza sui casi in cui era in discussione la disparità tra la popolazione di vari collegi elettorali.
Il problema è questo: alcuni parlamentari sono eletti in collegi (rurali) la cui popolazione è in certi casi inferiore alla metà rispetto ad altri collegi (urbani). Vi è dunque una violazione del principio di eguaglianza, poiché il voto dell’elettore di un collegio urbano “pesa” assai meno del voto dell’elettore di un collegio scarsamente popolato. O, se vogliamo vedere la cosa da un punto di vista macro, le zone urbane sono sottorappresentate rispetto alle campagne.

Due gruppi di avvocati avevano attaccato la legge che stabilisce i confini dei collegi e chiedevano l’annullamento delle elezioni nei collegi dove la disparità era più pronunciata. Alte Corti dell’Arcipelago in primavera avevano reso sentenza su questo problema. Due pronunce avevano sorprendentemente accolto la domanda e dichiarato nulle le elezioni. Altre avevano dichiarato lo stato di incostituzionalità senza dichiarare la nullità delle elezioni. Ne avevamo parlato qui qui e qui.

Le sentenze erano state ovviamente appellate e la questione era passata alla Corte Suprema. Come già accaduto nel 2011, la Corte ha dichiarato che le elezioni sono “in uno stato di incostituzionalità”:「違憲状態」. Una terza categoria.
In altre parole: le norme in oggetto non sono conformi alla Costituzione, ma non vogliamo spingerci fino ad una dichiarazione di nullità dei risultati che da esse discendono. Incostituzionali ma valide.

Mi limito ad alcuni brevi commenti.

Il primo: episodi come questo mi pare siano conseguenza diretta e segno della concezione rigidissima della divisione dei poteri in Giappone. Almeno per quanto riguarda gli aspetti formali dell’esercizio dei poteri.
L’idea che il potere giudiziario possa interferire in maniera significativa nelle faccende del Parlamento o del governo, mi pare uno dei tabù presenti nell’architettura costituzionale giapponese. A maggior ragione quando una norma costituzionale, come l’art. 47 Cost. prevede esplicitamente che “I distretti elettorali, le modalità di elezione e le altre qustioni relative alle elezioni dei membri di entrambe le camere del Parlamento sono decise per legge“(「選挙区、投票の方法その他両議院の議員の選挙に関する事項は、法律でこれを定める。」). Vi sono naturalmente casi in cui l’interferenza è ammessa, in virtù di principi ritenuti superiori alla divisione dei poteri. Ad es. il rispetto delle norme penali: quando vi siano ipotesi di reato la magistratura agisce. Ma in ipotesi non sanzionate dal diritto penale, come questa, come le decisioni sull’art. 9 Cost., come le questioni in materia di centrali nucleari, la magistratura ha la tendenza fortissima a qualificare la questione come “politica” e pertanto rientrante nella discrezionalità spettante al legislativo o all’esecutivo, e insomma a fare come le tre scimmiette di Nikko.

Le sentenze sono unanimi nel dichiarare che le elezioni non devono essere annullate.
Vi sono le opinioni dissenzienti dei giudici Otani, Ohashi e Kiuchi, che sostengono la tesi dell’incostituzionalità e non dello “stato di incostituzionalità”, ma anche questi tre giudici ritengono, insieme alla maggioranza, che non sia opportuno annullare i risultati delle elezioni.
Ora, l’art. 98 Cost prevede che: 

この憲法は、国の最高法規であつて、その条規に反する法律、命令、詔勅及び国務に関するその他の行為の全部又は一部は、その効力を有しない。
Questa Costituzione è la legge suprema del Paese, e le leggi, decreti, rescritti e tutti gli altri atti del governo che siano totalmente o in parte in contrasto con essa, non producono effetti.

Alla luce di questa norma, le posizioni dei giudici dissenzienti non mi sembrano meno problematiche di quelle della maggioranza: se lo stratagemma della terza categoria “in uno stato di incostituzionalità” potrebbe forse giustificare l’elusione dell’applicazione diretta dell’art. 98 (il problema naturalmente rimane a monte, nella stessa creazione della terza categoria), mi pare più contraddittoria la posizione del giudice che riconosca l’incostituzionalità ma che al contempo eviti l’applicazione dell’art. 98.

I giudici della Corte Suprema sono al top della loro carriera. Sono tra i massimi funzionari dello Stato. Tranne casi eccezionali, durano in carica più del Primo Ministro che li ha nominati. Terminato il loro mandato, di solito vanno in pensione.
Mi pare che la loro indipendenza sia garantita e che non siano particolarmente esposti a rappresaglie in caso di decisioni a sfavore del governo. Anche il controllo popolare previsto in Costituzione (Cost. 79.2) non ha mai sortito effetti.
Mi sembra strano dunque che nemmeno uno dei 14 giudici abbia ritenuto che alla violazione ripetuta e ricorrente, direi strutturale, del principio di eguaglianza tra gli elettori, consegua un qualche risultato concreto, come l’annullamento delle elezioni. Certo, ciò causerebbe un caos istituzionale non indifferente, ed è forse questa una considerazione che impedisce ai giudici di adottare l'”opzione nucleare”.
Forse però l’assenza di dissenso è da cercarsi nelle dinamiche che guidano i giudici della Corte Suprema nelle loro scelte di voto e nelle loro opinioni.
Ho scritto recentemente un breve studio sulla opinione dissenziente nella Corte Suprema giapponese, di cui cito un passo che mi sembra rilevante in questa vicenda:

Inoltre, è stato sostenuto che l’opinione dissenziente in Giappone abbia un effetto “suicida”, poiché il venire allo scoperto e rivelarsi come opinione minoritaria sancisce la propria sconfitta, e scoraggia l’adesione a tale indirizzo in decisioni successive. L’opinione dissenziente tuttavia, in maniera analoga a quanto avviene in altri sistemi, costituisce un primo segnale di debolezza di norme di legge o di correnti giurisprudenziali.

Probabilmente la questione verrà di nuovo sollevata alle prossime elezioni, perché le misure prospettate dal governo non sembrano porre rimedio al problema.
Immagino che gli avvocati attivisti vorranno di nuovo portare la questione in tribunale.
Per ora tuttavia la sentenza mi pare una dichiarazione di impotenza da parte della magistratura nei confronti di certi abusi del potere esecutivo: “Avete violato la Costituzione, mettete presto rimedio, altrimenti… diremo ancora che avete violato la Costituzione”.
Non mi pare che la Corte Suprema stia svolgendo il suo ruolo di difensore della Costituzione.

Qui alcuni resoconti in giapponese: NHKYomiuri ShinbunTokyo ShinbunMainichi Shimbun.
Qui vari resoconti in inglese: Japan Real TimeYomiuri ShimbunMainichiAsahi Shimbun.
Qui il post di Michael Cucek; leggete anche i commenti, in particolare quelli del Prof. A.J. Sutter.

nikko

Un pensiero su “Costituzionale, incostituzionale e “in uno stato di incostituzionalità”

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