Il RIETI sulle copie illegali di film nel mercato giapponese

Il RIETI sulle copie illegali di film nel mercato giapponese

Sappiamo tutti a memoria la litania degli scugnizzi dei paladini della proprietà intellettuale: la copia è un furto, ogni copia illegale che circola in più corrisponde a una copia legale venduta in meno, ogni anno la pirateria giggitale provoca zilioni di euro di danni, miriadi di posti di lavoro in fumo, etc etc…
Oltre naturalmente a portare un colpo mortale alla creatività e alla creazione di nuove opere d’arte: infatti a Hollywood sono tutti con le pezze al culo, dischi e libri nuovi escono col contagocce, etc etc…

Ogni tanto però escono studi scientifici sulla materia. Ad esempio rapporti come questo, di cui si è scritto anche qui, che afferma che, relativamente alla situazione svizzera, i timori che gli sviluppi della tecnologia e della possibilità di copiare “… possano influire negativamente sull’attività culturale nazionale sono infondati. Il Consiglio federale non ritiene pertanto necessario un intervento legislativo.”

Torniamo al Giappone, che negli ultimi tempi ha seguito, almeno a livello di declamazioni, un approccio rigoroso alla protezione della proprietà intellettuale.
Il Research Institute of Economy, Trade and Industry (RIETI), istituto giapponese di ricerca teorica ed empirica sui temi economici e finanziari fondato nel 2001, ha pubblicato l’anno scorso uno studio sul rapporto tra copie illegali di cartoni animati giapponesi e incassi dei prodotti legali.

Le conclusioni dello studio sono queste:

  1. La visione dei filmati su Youtube non influisce negativamente sull’affitto (locazione) di DVD, anzi pare che lo stimoli, e
  2. la condivisione di file attraverso programmi P2P influisce negativamente sull’affitto (locazione) di DVD, ma non sulla vendita. In sostanza, Youtube può essere interpretato come uno strumento di promozione delle vendite di DVD.

Il titolo in inglese è “Do Illegal Copies of Movies Reduce the Revenue of Legal Products? The case of TV animation in Japan“; purtroppo in inglese c’è solo il riassunto, in questa pagina, da cui si accede anche al download gratuito del paper in giapponese.

Tutto abbastanza in linea con quest’altro studio, in cui si sostiene che, per i film americani, il calo degli incassi al botteghino è dovuto non tanto alla c.d. pirateria in sé, quanto ai ritardi nelle date di uscita dei film nei Paesi diversi dagli Stati Uniti, il che nella situazione odierna fa sì che gli utenti di rivolgano ad altri strumenti di distribuzione come i torrent.

5 pensieri riguardo “Il RIETI sulle copie illegali di film nel mercato giapponese

  1. Sono d’accordo con il 90% di quello che hai scritto, quindi mi concentro su quel 10% che è nella prima parte del tuo argomentare. La diffusione illecita di materiale soggetto a copyright oltre a rendere un offesa al diritto dell’autore e dell’editore di attribuire determinati canali diffusivi nonchè alle loro legittime aspettative finanziarie, “ho lavorato mi aspetto un lucro”, colpisce in larga parte non chi abita ad hollywood e che certamente non veste con abiti rattoppati, ma chi lontano lavora agli adattamenti, alle traduzioni, alla grafica, alla distribuzione e localizzazione e alla logistica, tutte persone a medio o basso salario che si vedono decurtati i propri compensi o riformulato il proprio contratto di lavoro per essere al passo con una crisi del settore, che non è senz’altro solo frutto della pirateria.
    Non ho mai sentito l’attore di turno lamentarsi di aver avuto lo stipendio tagliato per via della crisi, i tagli avvengono sempre nelle scale più basse.
    Per farla breve io la vedo così: se scarichi o copi un opera soggetta a copyright che non è più distribuita o non lo è mai stata perché non ritenuta remunerativa, stai usando un tuo diritto nell’usufruire di un opera di cultura che non ti dovrebbe essere negata, ovvero se stai scaricando un opera che puoi benissimo reperire con un canale tradizionale di vendita stai rubando ad un magazziniere.
    Se l’opera costa troppo, esprimi il tuo disappunto, non comprarla, non usufruirne altrimenti, non parlarne, non diffonderla!

    1. BladeVet, grazie del commento. Il 10% di disaccordo di cui parli deriva dal fatto che io non ho un approccio etico o utilitarista alla proprietà intellettuale, ma se dobbiamo proprio riassumerlo in una parola, ho un approccio libertario. Se dai un’occhiata alla pagina About: copyright del blog e ai documenti che cito lì, puoi capire meglio cosa intendo. Pertanto non c’è molto da discutere, si tratta di un disaccordo sui principi di fondo: non so se io e quei documenti ti convinceranno, ma per ora i tuoi argomenti non mi convincono.

  2. Scusa se replico, ma è solo per capire maglio: il fatto che tu indichi il blog come di dominio pubblico, chiunque può ri-pubblicare significa che io posso prendere quello che hai scritto impaginarlo e pubblicarlo come un mio libro?
    credo di no, spero tu ti riserva almeno il diritto naturale di autore che nessuno ti può alienare.
    Dico questo perché di base molti credono, agendo di conseguenza, se una cosa è su internet è di dominio pubblico -> non è di nessuno -> la posso usare -> è mia.
    Questa sequenza logica va secondo me spezzata, ho visto così tante volte i miei articoli copiati e attribuiti ad altri che mi sono perfino rotto le scatole di reclamare essendo per la maggior parte delle volte additato come difensore del copyright. In questo io preferisco usare le creative commons: Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo (CC BY-NC-SA).

    1. Creative Commons mi sembra una bella cosa, ma dovrei studiarla meglio.
      Il problema della proprietà intellettuale è che, una volta che io metto in pubblico un’idea, un post, un’informazione, come posso controllare la sua circolazione/evoluzione?
      Nel caso tu prenda gli articoli del blog, li copi e te li attribuisca, a patto che io lo venga a sapere, non ti farei causa, semmai ti esporrei al pubblico ludibrio.

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