Stai alla larga dalla yakuza (II)

Stai alla larga dalla yakuza (II)

In un post precedente si parlava dei regolamenti sull’esclusione della yakuza, in vigore da ottobre in tutte le provincie del Giappone.
Il problema posto da questa legislazione è quello di capire in pratica cosa significhi in pratica “intrattenere rapporti” o “fare affari” con la yakuza: se un membro della yakuza entra in un konbini per comprare un onigiri, i commessi -ammesso che sappiano che si tratta di uno yakuza- devono rifiutarsi di servirlo? Cosa succede se, senza saperlo, si conclude una transazione commerciale con uno yakuza? È illegale trattare uno yakuza come un cliente qualsiasi?
L’articolo dello Yomiuri Shinbun portava qualche esempio, ma non chiariva del tutto le idee.

La rivista Sapio del 16 novembre contiene un piccolo speciale sulla yakuza e sui regolamenti sull’esclusione della yakuza. A pag. 36 l’avvocato Hideyuki Takashima prende in esame le norme dei regolamenti e fornisce una serie di esempi su cosa sia ” セーフ (safe, sicuro)” e cosa sia ” アウト (out, illegale) “.

Innanzitutto occorre fare una premessa sull’oggetto dei regolamenti.
Come detto in precedenza, si tratta di regolamenti emanati su base locale in tempi diversi, pertanto vi sono lievi differenze nella disciplina, ed in particolare su chi venga individuato dal testo di legge come membro della yakuza o come persona in rapporti con essa.
Il regolamento di Fukuoka cita come passibili di provvedimenti i “membri di un gruppo violento ( 暴力団員 )” o chi sia stato membro di un gruppo violento nei 5 anni precedenti. Il regolamento di Hiroshima assimila ai membri della yakuza chi la Commissione sulla sicurezza pubblica abbia riconosciuto aver violato alcune disposizioni dei regolamenti (il ragionamento mi sembra un po’ circolare ma dovrei approfondire; per chi fosse interessato qui il testo completo del regolamento). Il regolamento di Tokyo distingue tra membri della yakuza e persone in stretti rapporti ( 密接関係者 ) con essa, ma entrambe le categorie sono oggetto di sanzioni.
I soggetti che non sono membri diretti possono pertanto essere oggetto delle disposizioni punitive dei regolamenti, ove si rivolgano alla criminalità organizzata per risolvere dispute, in schemi di speculazione immobiliare, ove paghino una somma per ricevere protezione e così via, oppure nei casi in cui contribuiscano allo sviluppo della yakuza.
Inoltre, le procedure in materia di misure punitive sono diverse a seconda della zona: a Tokyo nel caso della prima infrazione il soggetto riceve un avviso privato, mentre altri regolamenti prevedono che il nome del soggetto che intrattiene rapporti con la yakuza sia reso pubblico già dalla prima infrazione.

In merito dunque ai casi in cui non è così chiaro distinguere se il cittadino comune possa essere oggetto di disposizioni punitive o no, o se sia anzi una vittima della yakuza, Takashima presenta alcuni esempi.

Il venditore a domicilio

Vi sono figure professionali il cui compito è quello di uscire dall’ufficio e andare in giro a cercare nuovi clienti per la società a cui appartengono ( 飛び込み営業 ). Può capitare che si sia sotto pressione per via di obiettivi da raggiungere: visitare x aziende e trovare y nuovi clienti. Può capitare che senza saperlo tali soggetti vadano a finire nell’ufficio di un gruppo criminale.
Il soggetto che noti aspetti o atteggiamenti sospetti della controparte, ma che non abbia prove della sua appartenenza alla yakuza, e concluda un contratto, non rischia di essere oggetto di provvedimenti punitivi.
Al contrario, se presso il domicilio del cliente sono esposti i simboli del gruppo o se in altro modo il venditore avrebbe oggettivamente potuto capire che il cliente fa parte della criminalità organizzata, la conclusione di affari ricade nell’ambito di applicazione dei regolamenti e la società del venditore è passibile di avviso o notifica.

A questo riguardo, mi dicono che certe società consigliano, come regola di cautela, di evitare contatti con clienti che contengano l’espressione 興業 nella propria ragione sociale, in quanto essa può segnalare aderenze con il mondo della criminalità organizzata. Sì, si tratta proprio del “kogyo” dell’ex-agenzia di Shinsuke Shimada, la Yoshimoto Kogyo.

Risoluzione del contratto per… yakuza

Se dopo aver concluso e eseguito parzialmente un contratto, un soggetto capisce che la controparte appartiene alla yakuza, esso deve evitare il rinnovo o la rinegoziazione del contratto.
È in queste fattispecie che possono tornare utili le “clausole sull’esclusione [della yakuza] ( 排除条項 ) “. Si tratta di clausole contrattuali che stanno diventando standard in determinati settori, e che prevedono il diritto di recedere dal contratto se una parte scopra che la controparte è membro di, o persona in rapporti con la yakuza.
Se il contratto non prevede una clausola risolutiva espressa di questo tipo, i regolamenti dispongono che chi prosegue nell’esecuzione del contratto non possa essere punito, perché altrimenti si esporrebbe ad azioni legali da parte della parte che subisce l’inadempimento o il recesso. Così ad esempio, il regolamento di Tokyo, art. 24 comma 3.

Questa regola vale anche nel caso si inviti il cliente a cena o ad altre attività (golf, onsen, etc…) e si scopra in seguito la sua affiliazione alla yakuza: a patto che non si tratti di spese fuori dall’ordinario, la condotta non è punibile.

Quando non c’è un contratto

Problemi di diverso tipo sorgono quando non c’è un contratto scritto che regoli il rapporto tra le parti. Gli esempi portati da Takashima sono i seguenti:

– ristorante/izakaya: se i clienti yakuza sono pochi e si mischiano agli altri clienti, servirli non è considerato “aiutare” la yakuza. Se invece si presentano numerosi, ed il ristorante prepara una sala riservata per loro, questo comportamento è a rischio.
– piccoli esercizi commerciali: il punto che differenzia un comportamento collusivo da uno “sicuro” è la dimensione degli acquisti/ordini: in caso di grandi volumi, il comportamento è a rischio.
– non solo installare telecamere di sorveglianza o vetri antiproiettile presso gli uffici dei gruppi criminali è un comportamento “out”, ma anche cambiare la tappezzeria o fare lavori di ristrutturazione. E, volendo applicare con rigore i regolamenti, anche le forniture di gas, energia elettrica e acqua agli uffici dei gruppi sono comportamenti che aiutano la yakuza e che ricadono nell’area dell’illecito. Trattandosi di uffici e non di abitazioni private, non dovrebbero presentarsi problemi di diritto costituzionale, sotto il profilo della lesione del diritto alla vita ( 生活権 ).
stampa di biglietti da visita e cartoline: “out” se riportano il simbolo dell’organizzazione criminale, leciti se sono ordini fatti dal singolo senza riferimenti alla yakuza.
– al momento di ricevere prenotazioni gli hotel devono accertarsi che i clienti non siano legati alla criminalità. Nel caso tuttavia non si chieda, o si riceva una risposta mendace, gli esercizi non sono punibili e possono continuare ad erogare il servizio anche nel momento in cui capiscano durante l’esecuzione di aver a che fare con la yakuza.

Manifesto sul Regolamento sull’esclusione della yakuza, Provincia di Okayama

5 pensieri riguardo “Stai alla larga dalla yakuza (II)

  1. Mi confermate che il codice penale giapponese non prevede il delitto di associazione a delinquere (sia essa di stampo mafioso o meno), come letto altrove sul web?
    Se sì, mi chiedo (e vi chiedo): non sarebbe più semplice introdurre quella fattispecie di reato, invece di affidarsi ai regolamenti illustrati nell’articolo che sicuramente daranno adito a molte questioni interpretative? In subordine, perchè non prevedere un regolamento unico a livello nazionale?

    1. Caro Daniele, grazie del commento. Posso dirti che il codice penale giapponese non prevede il reato di associazione a delinquere. Le altre domande che poni sono più delicate e non so bene come rispondere. La scelta che è stata fatta in Giappone è quella di lasciare tali organizzazioni in una zona grigia per evitare che diventino associazioni nascoste, pensando così di poterle controllare meglio. D’altronde, come l’esempio italiano dimostra, non è detto che sia sufficiente emanare una legge che introduca la fattispecie di reato per eliminare il fenomeno.
      Le disposizioni a livello nazionale sono quelle della cd. “Botaiho”, ai quali i regolamenti locali si aggiungono; io non considero un errore quello di introdurre regolamenti lievemente diversi nelle varie provincie: il pluralismo offre la possibilità di sperimentare, di confrontare come funzionino le differenti soluzioni e verificare quali siano più efficaci.

      1. Grazie della risposta. Certo, non è sufficiente qualificare una condotta come criminosa per eliminarla:se così fosse esulterebbero i fautori della panpenalizzazione! Tuttavia, resto perplesso – e affascinato al tempo stesso – dalla scelta del legislatore giapponese: che abbia radici più profonde di una semplice politica criminal-preventiva? Magari di natura antropologica (tanto per restare in tema con un altro post).Un’ultima domanda (l’ennesima!): cosa prevede il Botaiho per intaccare il patrimonio di queste organizzazioni (confische, sequestri, sanzioni per il c.d. riciclaggio di denaro)?

  2. Caro Daniele, non è facile rispondere al tuo interrogativo sulle scelte del legislatore.
    Probabilmente le autorità hanno visto nella yakuza più un alleato nel mantenimento dell’ordine sociale -e uno strumento che poteva tornare comodo in certi frangenti- che una minaccia al proprio potere, e hanno lasciato che vivesse e prosperasse in una “zona grigia” fino a quando ciò non è stato più sostenibile, anche/soprattutto sul piano dell’immagine internazionale del Giappone.
    La confisca è una misura prevista dal Codice penale ma non so dirti quanto sia applicata nei confronti dei “boryokudan”. Il/la Botaiho prevede che i membri delle associazioni designate come “gruppi violenti” non possano praticare certe attività. In caso sia accertata una violazione, un organo amministrativo emana un ordine che proibisce formalmente di compiere tali atti, e solo in violazione di tale ordine entrano in gioco blande sanzioni penali. Alcuni commentatori sostengono che gli strumenti legali per contrastare la yakuza fossero già a disposizione delle autorità, anche prima del Botaiho, e che la legge sia stata introdotta per semplici ragioni “cosmetiche”.

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