Di un manifesto, del diritto d’autore e dell’ordine sociale giapponese (I)

Di un manifesto, del diritto d’autore e dell’ordine sociale giapponese (I)

Tra i vari avvisi e poster affissi nell’atrio della segreteria della Facoltà di legge dell’Università di Tokyo, questo manifesto spicca, anche per dimensioni:

Lasciamo perdere l’accuratezza delle informazioni riportate, il tono e lo scollamento tra la versione giapponese e quella inglese. Quest’ultima, più decisa e minacciosa. O forse è solo una questione di registro. Ad ogni modo, lasciamo perdere.
Vorrei invece partire dal manifesto per presentare un paio di riflessioni sul rapporto dei giapponesi con il diritto d’autore e sulla struttura dell’ordine sociale giapponese.

Sul primo punto: la mentalità giapponese nei confronti del copyright.
Non è un tema su cui si trovino molti studi. E la ragione mi sembra evidente: chi si mette a studiare una materia come la proprietà intellettuale, di solito lo fa mica per fare tante raffinate disquisizioni, ma per lavorare in uno studio legale e fare tanti soldi.
Le mie riflessioni su questa materia si basano dunque su impressioni molto personali.

L’impressione è che molti editori e produttori di contenuti in Giappone abbiano un rapporto strano con la rete: da una parte sembra che faccia loro comodo che i contenuti finiscano su internet, dall’altra sembrano seriamente preoccupati dal fatto che i loro contenuti finiscano su internet.
Ad esempio: il servizio su Takanori Eto che citavo in un post precedente è stato cancellato una settimana dopo la pubblicazione, come avviene peraltro a tutti i filmati del canale. Cioè, TBS si prende la briga di caricare i suoi servizi su YouTube e di cancellarli tutti dopo una settimana. Di cosa abbiano paura, non riesco a capirlo.
Un altro esempio è questo: YouTube ha sospeso il canale ufficiale di Lady Gaga perché, si dice, la popstar aveva osato caricare un video in cui cantava insieme agli SMAP, ospite del loro programma su Fuji TV. Ecco qui il video incriminato:

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=gP2EmVjnW-U]

Naturalmente l’oscuramento non è avvenuto su iniziativa di YouTube, ma a seguito di una richiesta di Media Interactive, società che cura i diritti di numerosi editori giapponesi. Nel novembre 2010 Media interactive era riuscita a bloccare il canale ufficiale YouTube di Hikaru Utada. Mica una qualunque.

Questa estrema cautela con cui vengono trattati e “difesi” -difesi da chi?- i contenuti digitali mi pare un atteggiamento diffuso. Sembra paradossale, e si fa fatica a credere che in un Paese come il Giappone, moderno e con una penetrazione di internet così capillare si covino ancora queste paure e questa diffidenza verso la rete.
O forse proprio per quello?

La cosa ha riflessi anche in situazioni che mi riguardano da vicino: poche riviste accademiche giapponesi mettono contenuti on-line, e anche quando capita si tratta di pdf protetti, testo non selezionabile, è impossibile usare la funzione “Cerca”, insomma scomodi e non molto utili. E non pare che il trend sia in movimento.

Altri esempi della cautela che circonda il diritto d’autore provengono dalle biblioteche universitarie. Alcune sono molto rigide nel limitare le pagine che si possono copiare a 1/tot delle pagine totali, chiedendo poi tutti i dati di ciò che si è fotocopiato. Vassapere poi quanto, delle mie 13 fotocopie cioè 130 yen, arriva davvero nelle tasche dell’autore.
Ma va bene, questo ci può anche stare, un principio è un principio.

Oppure: mi è capitato di richiedere fotocopie di un libro di Boissonade non posseduto dalla mia biblioteca. Anno di pubblicazione, 1872.
Prima e-mail della bibliotecaria: “Per cortesia indichi le pagine perché in base alla legge sul diritto d’autore possiamo fare copie fino al 50% dell’opera.”
Prima risposta mia: “L’opera ha 138 anni, l’autore è morto 100 anni fa, siamo sicuri che sia ancora coperta dal diritto d’autore?”
“Abbiamo fatto ricerche, in effetti l’opera non è più coperta da diritto d’autore. Mi indichi le pagine.”
“Tutte, per cortesia.”

Sul secondo punto: il manifesto è un buon punto di partenza per una riflessione sul ruolo delle strutture sociali intermedie nel mantenimento dell’ordine sociale giapponese.

Ne parleremo la prossima puntata.

(continua)

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